E’ ormai una triste realtà il fatto che la crisi non lasci spazio ad ipotesi di facile o imminente ripresa e, nel frattempo, sia il Governo Regionale che Nazionale sembra che vivano in un’altra dimensione, ben distaccati dai problemi dell’economia reale. La crisi si respira dappertutto dalle catastrofi ambientali ai valori sociali, dalla crisi delle imprese ai valori amicali e familiari. E’ come se il medioevo fosse un ricordo roseo rispetto all’oscurantismo che stanno vivendo le nostre generazioni. Per un’associazione di categoria come Unimpresa, il cui obiettivo principale è quello di aiutare le imprese e ridare loro la dignità che ormai da molto, troppo tempo, non gli viene più garantita, diventa un atto dovuto quello di fare un’analisi della realtà che ci circonda. Sono passati ben due anni dalla presentazione del Piano di azione di Antonio Tajani, Vicepresidente della Commissione Europea, un piano che mirava ad un serio sostegno agli imprenditori e al rivoluzionamento della cultura imprenditoriale in tutta Europa, un piano che prevedeva una seconda possibilità per gli imprenditori onesti dopo un fallimento, un piano che dettava le basi per creare un ambiente favorevole alla crescita delle imprese. Ma dal 2013 ad oggi cosa è successo? “Tutte le novità che si sono susseguite- spiega Salvatore Puglisi, Presidente di Unimpresa En-Cl – hanno avuto tutte una accezione completamente negativa che fa toccare con mano il reale stato dei fatti: né la giustizia né, tantomeno, le banche riescono a dare una mano al mondo reale, infatti – sottolinea – le banche hanno tolto gli strumenti economici alle imprese, primo fra tutti la liquidità finanziaria, e lo Stato continua a non fare nulla per mettere nelle condizioni di far partire un’attività economica o per aiutarla nei momenti di grave difficoltà”. “Una cosa è ormai chiara a tutti – continua Puglisi – il cuore pulsante dell’economia italiana sono le piccole e medie imprese; con quale coscienza si può continuare a permettere che siano proprio loro, insieme con tutta la popolazione, a pagare il prezzo più alto di questa crisi? A chi imputare la responsabilità della morte di ogni singolo imprenditore (che nel triennio 2012-14 ha mietuto un totale di 439 vittime con una crescita esponenziale che parte da 89 nel 2012, 149 nel 2013 e 201 nel 2014) che è stato strozzato dalle tasse e dalle banche? Il carico fiscale in Italia è del 43%, il più alto in Europa; inoltre, in Sicilia, i tassi bancari sono più alti rispetto al nord”. La situazione del momento è allarmante da ogni punto di vista; viviamo in una società dove i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. Qual è il senso di giustizia in atto? Togliere tutto, fare fallire un imprenditore che ha investito la sua vita, i suoi soldi, il suo tempo, le sue speranze, la sua intera esistenza in un progetto imprenditoriale che non riesce a tenere in vita perché il suo primo nemico è lo Stato che, invece di aiutarlo nel suo difficile percorso, gli taglia le gambe e, cosa che rende ancora più grave questa tragica situazione, per ogni imprenditore che fallisce ci sono padri di famiglia che perdono il lavoro e che portano nelle loro case quel senso disperazione di chi non ha più l’ardire di pensare al futuro, se non ha idea di come arrivare alla fine del mese. Sia Papa Benedetto XVI prima, che Papa Francesco poi, fanno riferimento al grave momento di crisi morale, etica e politica che sta attraversando l’umanità; Benedetto parla di “carità”, intesa come una “forza straordinaria che spinge le persone ad impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia, della pace e del bene comune. Il bene comune è il bene di quel ‘noi tutti’ che si avvale di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale”. Papa Francesco invece, nella Sua Enciclica “Laudato sì”, si rivolge direttamente alla classe politica e lo fa in questi termini: “il principio della massimizzazione del profitto è una distorsione concettuale dell’economia. Qual è il posto della politica? Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi”. Secondo i dati Istat, in Sicilia, sono disoccupati 22,9% degli uomini ed il 23,2% delle donne; diventa un problema di carattere morale ed etico provare a spiegare ad un giovane, piuttosto che ad un cinquantenne, che non può neanche ipotizzare di poter pensare un futuro. Non si meravigli nessuno allora se in Italia l’astensionismo al voto sfiora il 50%, il cittadino non ha più la spinta ad andare a votare se poi, di fatto, tutti i cambiamenti o non si avvertono o sono sempre più in senso negativo. La Sicilia si ritrova in uno stato fallimentare con pochi fondi a disposizione che, al massimo, riescono a coprire le spese correnti; sono state eliminate le Province senza, alla base, un serio piano di programmazione che mettesse tutti, i lavoratori, nelle condizione di sapere quale sarebbe stato e quale sarà il loro destino. Tanti politici che si sono susseguiti non hanno dimostrato, negli anni, capacità di programmazione né, tantomeno, di essere seriamente interessati ai problemi reali della società. I tre anni di Governo Crocetta, hanno messo a dura prova l’intera economia dell’Isola portando, allo stato reale dei fatti, tanti proclami senza risultati concreti. Non è più ammissibile che si parli di programmi e di idee di futuro solo durante le campagne elettorali per poi ricadere in un assordante silenzio, che getta la nostra economia sempre più nel baratro. “Il buon senso legato ai sani principi di legalità non esiste più. Assistiamo ormai ad un fenomeno inquietante di famiglie ed imprese che ricorrono alla criminalità, nello specifico agli usurai, sperando in questo modo di ottenere una boccata di ossigeno ma che, in realtà, li fa cadere in un baratro senza via d’uscita e nel contempo, – prosegue Puglisi – la povertà fagocita sempre di più anche la classe media, la disoccupazione giovanile è alle stelle e continua a non esserci un’azione fattiva dello Stato, un’azione che faccia toccare concretamente con mano dei risultati”. “Occorre – spiega Puglisi – attuare un serio piano di sviluppo economico, defiscalizzando e rendendo i bandi accessibili per tutti, capire perché dei Fondi strutturali della Regione che, dovevano essere pronti a giugno, non si ha ancora notizia, facilitare realmente l’accesso al credito e sostenere le imprese nelle loro fasi cruciali, invece di abbandonarle al loro triste destino”. Dall’analisi emerge che quello che è mancata è stata una seria politica nazionale che, a monte, non ha coadiuvato tutta una serie di azioni mirate a risollevare le sorti del Paese che avrebbero potuto essere recepite dalle varie regioni. La Sicilia dal canto suo, in quanto Regione a statuto speciale, non ha minimamente sfruttato la sua autonomia per azionare un serio processo di risanamento. E’ necessario un cambio di passo su obiettivi strategici comuni a sostegno dei settori economici vitali quali il turismo, le costruzioni, l’agroalimentare, il manifatturiero, l’energia, i servizi ed il terziario. Solo investendo fortemente su questi settori si potranno produrre effetti moltiplicatori sul Pil della nostra economia e, di conseguenza, sul livello occupazionale giovanile”.