Siciliani e Sicilianità- la storia di ROSA BALISTRERI, cantastorie siciliana.

Siciliani e Sicilianità- la storia di ROSA BALISTRERI, cantastorie siciliana.

A Viterbo una serata dedicata a Rosa BalistreriLeggendo e sbirciando alcuni libri sulla Sicilia e i suoi personaggi, mi sono imbattuta in una donna forte, combattiva, che ha amato tanto la sua terra più di ogni altro. Sto parlando della cantastorie siciliana Rosa Balistreri, nota non solo per aver recuperato testi di arcaica memoria, ma soprattutto per averli reinterpretati attualizzandoli al suo ambiente culturale. Importante nella vita di Rosa l’incontro con Ignazio Buttitta, il grande poeta dialettale siciliano, che la spinse ad andare oltre all’interpretazione dei canti siciliani classici e a comporre nuove melodie, fornendo anche la traccia musicale oltre all’interpretazione canora. Ecco cosa disse di lei il poeta Buttitta: “La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva che venisse dalla terra arsa della Sicilia. Ho avuto l’impressione di averla conosciuta sempre, di averla vista nascere e sentita per tutta la vita: bambina, scalza, povera, donna, madre, perché Rosa Balistreri è un personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo, un film senza volto.”. Per capire chi è Rosa Balistreri, bisogna conoscere la sua vita, le sue vicende, il suo grande amore per la Sicilia. Presero vita canzoni come “Mafia e parrini”, “I Pirati a Palermu” e tante altre, come quelle sull’emigrazione e sul duro lavoro di contadini, minatori e jurnatari, cioè i lavoratori a giornata. E’ la terra arida di Sicilia, nei campi assolati, nell’oscurità delle miniere di zolfo, nella solitudine e nel dolore dei carcerati, nella nostalgia degli emigranti, quella cantata da Rosa, cantata con dolore e, allo stesso tempo, con amore come sa fare chi, nonostante tutto, rimane legato alla sua terra.

Rosa Balistreri nacque il 21 marzo del 1927 in un quartiere degradato di Licata, in provincia di Agrigento. Figlia di un falegname geloso e violento, Rosa ebbe due sorelle e un fratello, Vincenzo, paraplegico dalla nascita. La famiglia era molto povera, e Rosa visse l’infanzia e la giovinezza nella miseria. Fin da bambina, si dedicò alle più umili attività: servì presso le case di famiglie benestanti, andò a lavorare nella conservazione del pesce, a spigolare per i campi assolati dei paesi vicini. In queste difficili condizioni, Rosa, dalla voce carica, roca e profonda, riversava nel canto la sua disperazione e la sua speranza. A quindici anni, ancora analfabeta, indossò il suo primo paio di scarpe e, ormai nota per la sua voce, cominciò a essere chiamata per cantare in chiesa durante battesimi e matrimoni. Un anno dopo, fu costretta a sposare Iachinazzo, e quando questi perse al gioco il corredo della figlia, Rosa lo aggredì e, credendo di averlo ucciso, andò a costituirsi ai carabinieri, affrontando anche sei mesi di detenzione. Ritornata alla libertà e dopo un periodo di stenti, si presentò l’opportunità di recarsi a Palermo, al servizio di una famiglia nobile, ma li conobbe di nuovo la disperazione. Rimasta incinta dal figlio del patrone, Rosa fu spinta da costui a rubare denari nella casa dei genitori. Scoperta, fuggì ma fu nuovamente arrestata e trascorse altri 7 mesi in prigione. Nonostante fosse incinta, fu costretta a vivere per strada, fino a quando non fu accolta da un’amica ostetrica che la aiutò a partorire un bambino morto. Ripresasi, Rosa andò al servizio del conte Testa, e poté così sistemare la propria figlioletta in collegio a Palermo e imparare finalmente a leggere e scrivere. Dopo un breve periodo, abbandonò la casa del conte e visse come sagrestana in un sottoscala, insieme a suo fratello Vincenzo, che faceva il calzolaio. Quando il prete però tentò di abusare di lei, Rosa, senza cedere, svuotò le cassette dell’elemosina e comprò due biglietti ferroviari: per sé e per suo fratello. Insieme giunsero a Firenze, dove Rosa visse per i successivi vent’anni. Vincenzo aprì una bottega di calzolaio e Rosa trovò lavoro al servizio di una distinta famiglia fiorentina, conquistando così una certa tranquillità. La sorella Maria li raggiunse poco dopo, scappando da Licata, e sfuggendo alle prepotenze del marito che, raggiuntala, la uccise. Il padre di Rosa non sopportò il dolore di questa tragedia e si tolse la vita impiccandosi sul Lungarno. Superati questi ennesimi dolorosi avvenimenti, per Rosa iniziò un periodo di serenità: incontrò il pittore Manfredi Lombardo, con cui visse per dodici anni, che le diede amore e la possibilità di conoscere grandi personaggi della cultura e dell’arte. Tra i tanti conobbe Mario de Micheli, il quale, incantato dalla sua voce, le diede la possibilità di incidere il suo primo disco con la Casa Discografica Ricordi. Rosa non si fermò a interpretare vecchie canzoni. Grazie all’amicizia con musicisti e poeti, tra i quali vi era Buttitta, che la indusse a prendere lezioni di chitarra, partecipò attivamente alla composizione di testi, fornendo a volte anche la traccia musicale oltre all’interpretazione canora. Presero vita, così, canzoni come “Mafia e parrini”, “I Pirati a Palermu” e tante altre, come quelle sull’emigrazione e sul duro lavoro di contadini, minatori e jurnatari, cioè i lavoratori a giornata. Tramite le sue canzoni si entra dentro la terra arida di Sicilia, nei campi assolati, nell’oscurità delle miniere di zolfo, nella solitudine e nel dolore dei carcerati, nella nostalgia degli emigranti, ma il percorso non si esaurisce nel dolore ma è esaltato nell’amore per la propria terra, per i piccoli, per le tradizioni religiose, e si sublima infine nella speranza, nella certezza di una giustizia sociale, nel rispetto per i lavoratori. Conosciuto Dario Fo, partecipò nel 1966 al suo spettacolo “Ci ragiono e canto“. Finita l’avventura con il suo Manfredi, che la lasciò per una modella, Rosa cadde in depressione, e tentò il suicidio. Inoltre, la sua unica figlia era fuggita, incinta, dal collegio. Per questo chiese aiuto agli amici del Partito Comunista, che le permisero di esibirsi nelle Feste dell’Unità in varie città. Fu solo alla fine degli anni Sessanta che decise di tornare in Sicilia, non più come povera serva, ma come artista affermata. Nel 1973 partecipò al Festival di Sanremo con la canzone in italiano “Terra che non senti“, ma fu esclusa alla prima serata, perché il suo genere musicale fu considerato fuori moda. Stabilitasi definitivamente a Palermo, proseguì la sua attività recitando e cantando al Teatro Biondo in “La ballata del sale“, spettacolo scritto per lei da Salvo Licata. Il 1987 fu per Rosa l’ultima estate artistica come attrice teatrale, mentre come cantautrice continuò a girovagare per il mondo: in Svezia, in Germania, in America, raccogliendo sempre applausi e apprezzamenti. A Licata tornò un anno prima di morire, nel 1989, e in quell’occasione Giuseppe Canta venera scrisse la sua biografia. Rosa si spense all’ospedale di Villa Sofia a Palermo, il 20 settembre del 1990, colpita da un ictus cerebrale.

 Rita Bevilacqua

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