Oggi, nella rubrica Siciliani e Sicilianità, parleremo non di un personaggio, ma uno dei simboli tipici della Sicilia: IL CARRETTO SICILIANO. Nato come strumento di lavoro, per trasportare merci e persone, la sua storia è strettamente connessa a quella dell’economia della Sicilia. Fino al 1700, a causa dello scarso sviluppo delle strade, gli spostamenti di uomini e merci avvenivano con muli e cavalli. Il governo borbonico nel 1830 si preoccupò di aprire strade di grande comunicazione, le cosiddette “regie trazzere”, non tanto per motivi economici, quanto per ragioni militari. La prima di queste “regietrazzere” fu la Palermo-Messina montagne, che passava per Enna (allora Castrogiovanni) e arrivava a Catania. Erano strade fatte da grossi sentieri a fondo naturale, con salite ripidissime e curve a gomito, soggette a frane e piene di buche; difficili da percorrere con i cavalli. Per soccombere a questa mancanza, fu realizzato un carretto, con ruote molto alte, per superare gli ostacoli delle “trazzere”. La prima descrizione del carretto siciliano risale al 1833, nel resoconto del viaggio fatto in Sicilia dal letterato francese Jean Baptiste Gonzalve de Nervo (1840-1897) che rimase in Sicilia un mese per raccogliere materiale per il suo libro di viaggio. Egli è il primo viaggiatore che racconti di aver visto sulle strade siciliane dei carretti, le cui fiancate recavano l’immagine della Vergine o di qualche santo, derivata dalla pittura su vetro, molto popolare a quei tempi in Sicilia. Le grandi città della Sicilia, come Palermo e Catania, si riempirono presto di questi nuovi mezzi di trasporto, dalle più eleganti e barocche delle famiglie nobili, alle più semplici dei carrettieri, che li usavano per trasportare merci. I più famosi carradori (così chiamati i costruttori di caretti) e pittori dei centri minori furono a scuola nelle botteghe artigiane di Palermo e Catania. Da semplice trasporto merci, ben presto divenne anche mezzo di trasporto persone, utilizzato per le gite domenicali e le scampagnate. Da qui la necessità di renderlo più confortevole per mogli e figli, ma anche più bello. Furono questi alcuni motivi, accanto a quelli religiosi, di protezione a santi e madonne, che diedero lo stimolo a “i Gnuri” (chi porta il carro in siciliano), a decorare il carretto. Sulle fiancate dei carretti comparvero eroi epici impegnati in battaglie e avventure ed anche personaggi storici. Carlo Magno e i Paladini di Francia, le vicende delle Crociate, i fatti riguardanti Napoleone Bonaparte e Giuseppe Garibaldi furono i più rappresentati. Tali vicende traggono spunto dai cartelli dei cantastorie e dai fondali dell’opera dei pupi. Se però per realizzare questi ultimi si usavano colori ad acqua, che erano facilmente deperibili, per i carretti furono usati colori a olio molto più resistenti.
Il carretto siciliano è formato da tre elementi principali: le ruote, le stanghe, la cassa. La qualità di legname adoperato nella costruzione varia dal noce per la corona, il mozzo delle ruote, le sponde e i travetti, al frassino per i pioli, al faggio per le mensole e le stanghe, e all’abete per le parti rimanenti. La caratteristica che fa del carretto siciliano una forma di artigianato di qualità è la decorazione, che può essere sia di tipo scultorio sia pittorico, che riesce a esprimere alti contenuti artistici con mezzi di estrema efficacia sintetica. Il lavoro dei carradori avviene per commissione, e i carretti sono fabbricati uno per volta; non si può cominciare il secondo se non è prima finito il primo. Il carretto, completo dalla sua ossatura e nel suo intaglio, lascia la bottega dell’artigiano per spostarsi in quella del decoratore che, con i colori minerali stemperati in olio di lino e vernice, ricopre il carretto di parecchi strati di giallo o di rosso, definisce la parte ornamentale, lasciando liberi soltanto i fondi delle fiancate e dello sportello della parte posteriore. Ed è proprio su questi fondi che il pittore figurista in una terza bottega mette in scena con la sua abilità le composizioni, scene religiose, epiche o romantiche – ma tutte costituivano autentiche esplosioni di policromie. Da ultimo, si ponevano le iscrizioni, ossia la firma dell’artista, il nome dei proprietari e degli altri artigiani che avevano contribuito alla realizzazione dell’opera e quant’altro possa essere stato richiesto, come frasi, proverbi, e aneddoti di vita reale. Dei maestri dei carretti siciliano rimane oggi solo uno sbiadito ricordo, ma basti ricordare come racconta il grande Renato Guttuso: “Furono loro i miei primi maestri del colore”.
Anche Barrafranca (EN) vanta la presenza di un grande “pittore di Carretti”: il nostro Roberto Caputo che, ormai da anni, si occupa di restaurare o dipingere ex-novo carretti da tutta la Sicilia. Stimato pittore, ha aperto in via un laboratorio di tutto rispetto e la sua bravura si è diffusa in tutta la Sicilia, tanto che da quest’anno, grazie alla Proloco locale, il laboratorio è stato ufficialmente inserito nella guida turistica della provincia di Enna.
Rita Bevilacqua