Il Venerdì Santo è il giorno del dolore, della sofferenza, della morte. A Barrafranca (EN), come nella maggior parte dei paesi siciliani, una tradizione che si svolge nella tarda mattinata del Venerdì, è la processione del fercolo dell’Addolorata, accompagnato dal gigante processionale o “apustulu”, come lo chiamano i barresi, san Giovanni. Secondo la tradizione popolare, questa processione rappresenta la ricerca dell’Addolorata del Figlio che, arrestato, si avvia al Golgota. Per questo, anticamente, era chiamata “a cerca di Maria”. Difatti, quando la processione arrivava in chiesa Madre, si apriva il portone e veniva mostrata la statua dell'”Ecce Homo”, circondata di catene.
Questa ricerca angosciosa di una madre che, attraverso le vesti luttuose tipiche del costume siciliano, dal volto pallido e sofferente, diventa espressione del dolore umano, enfatizzato e reso attuale mediante la processione, in cui la visione del fercolo e l’ascolto dei lamenti e del suono stridulo delle “scattiole” (troccole), permettono a chi partecipa di rivivere e rendere attuale il dolore della “Croce”. Questo è il senso più vero delle tradizioni, il sub strato popolare, umano che sottende e rende attuale quello religioso. Di là della fede, la forza delle tradizioni sta proprio in questo: nel rinnovo annuale, attraverso le processioni, del ricordo e magari della condivisione di quello che, per il mondo cristiano, è il momento più importante: il sacrificio dell’uomo Gesù che ha donato la propria vita per gli altri. E chi meglio della madre di Gesù può essere da esempio, con il suo dolore composto ma sentito, per un cammino di fede. Chi meglio di una figura femminile può incarnare il prototipo del dolore umano. Come scrisse lo scrittore Leonardo Sciascia “… nella Madonna stessa si ravvisano quegli elementi terreni e carnali, d’istintiva preoccupazione e ansietà, che nel Redentore e nei santi si suppongono più remote e astratti; … la donna è più vicina alla natura a custodire e difendere il seme della vita.” Composta è l’immagine del fercolo dell’Addolorata, composta ma sofferente, di una sofferenza umana perché solo umano è il dolore. E chi sa se l’anonimo autore della statua non abbia voluto rappresentare proprio l’aspetto più umano della Vergine Maria, anche nella struttura di cui è composta: non una “fredda” statua, rigida e ferma nello spazio e nel tempo, ma “materia” che si compone sotto le mani attente di chi la prepara, o come amano dire i barresi “a vistunu”, componendola nelle sue diverse parti che prendono vita quando, con il movimento delle braccia, si asciugare le lacrime. Grande è la compartecipazione del popolo barrese al dolore di Maria, tanto che anticamente, come ci raccontano i più anziani, le donne si vestivano di nero: le più anziane mettevano, oltre al vestito, i classici scialli neri, le giovani donne abito nero e foulard dello stesso colore, legato in testa, mentre le ragazzine il solo vestito nero; non si lavavano i capelli, non curavano la loro persona, tutte dovevano partecipare al dolore della mamma di Gesù. Anche gli uomini vestiti con giacche e pantaloni di velluto scuri, non facevano neanche la barba. Questo era il loro modo di condividere il dolore di Maria, di partecipare, in modo composto e silenzioso, alla “cerca di Maria”, di seguirla, di soffrire e piangere con lei, come quando si usava andare a piedi fino al cimitero per accompagnare un defunto. Anche i lamenti eseguiti dagli uomini dietro il fercolo e i vari rosari recitati dalle donne, richiamano le urla e le preghiere che, tanto tempo fa, si ascoltavano ai funerali. Che cosa c’è di più umano di questo?
“O Matri Santa…
un si sula nni stu cammini di Duluri,
nni sta cerca du Signuri,
du Figghju ‘ncatinatu,
senza aviri cummissu piccatu!”
Versi di Rita Bevilacqua. Fonte: SETTIMANA SANTA A BARRAFRANCA, di Rita Bevilacqua, Bonfirraro Editore, 2014