In questo giorno i cristiani di tutto il modo rievocano la Passione e Crocifissione di Cristo, ricordando le ultime ore della vita terrena di Gesù e il dolore per la sua crocifissione. La celebrazione del Venerdì Santo a radici molto antiche, probabilmente nella celebrazione della Chiesa di Gerusalemme, che era solita rievocare, con particolari riti, la passione di Cristo nei luoghi dove essa era realmente avvenuta. Già dall’ antichità, era il giorno a-liturgico per eccellenza, cioè privo della celebrazione eucaristica. Il nucleo della celebrazione, come apprendiamo dall’ Apologia di S. Giustino di Nablus del II sec. d. C., è la celebrazione della Parola di Dio e, in particolar modo, della Passione secondo Giovanni. Canti e preghiere per il Venerdì Santo si trova anche negli “Ordines romani”, risalente circa al 800 d.C. La celebrazione romana ha subito l’influsso delle tradizioni orientali, dato che nel VIII-IX sec. i vescovi di Roma provenivano da quella tradizione e portarono con loro il rito “dell’Adorazione della croce”, fulcro della liturgia del Venerdì Santo. Una descrizione dettagliata delle cerimonie del venerdì a Gerusalemme si legge nel “Diario di viaggio” di Egeria del IV secolo: «… e viene portato un cofanetto d’argento nel quale si trova il legno santo. Viene aperto, lo si espone e si mette sul tavolo tanto il legno della croce che l’iscrizione… Così tutto il popolo passa ad uno ad uno; tutti chinandosi toccano prima con la fronte, poi con gli occhi la croce e l’iscrizione e così baciano la croce e sfilano via», in cui l’adorazione della croce sembri assumere un ruolo centrale. Questo rito viene ripreso dalla comunità cristiana a Roma, dove si conservava un frammento del legno della Croce, portato da Gerusalemme a Roma da Elena, madre dell’Imperatore Costantino, dopo la scoperta avvenuta nel 326 d.C. Questa fece costruire, sul “palatuim Sessorianum”, che le apparteneva, la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Giorno di dolore e di sofferenza, il Venerdì Santo viene ricordato in tutti i paesi della Sicilia e in parte del meridione, con processioni, più o meno suggestive, dove ha emergere, forte della sua potenza, è la CROCE, recante il CROCIFISSO. Simbolo del martirio e del dolore umano, il CROCIFISSO è portato in processione per le strade dei paesi, tra folle silenziose e partecipanti, commesse e preganti, di fronte al sacrificio che la CROCE, posta su una portantina e portata a spalla da uomini devoti, ricorda a chi assiste alla processione. Spesso l’irruenza e la voglia di mostrare la propria fede, che va al di là del sentimento religioso, spinge gli uomini ad accalcarsi, ad ammassarsi sotto la CROCE, a urlare, pregare, imprecare, già stanchi per il peso e per la rissa di persone che li circondano, ansiosi di potersi avvicinare alla baiarda, a quel pezzo di legno che porta in giro il CROCIFISSO, per mettere sotto la propria spalla, mentre qualcuno grida: “ammisilicordia”, a cui fanno eco tutti gli altri. Questo succede nella processione DU TRUNU del venerdì Santo a Barrafranca (EN). Qui la processione non ha eguali, qui è l’intera comunità a partecipare alla processione, non intesa come spettatore passivo degli eventi, ma artefice ella stessa del “divenire” della festa.
Rita Bevilacqua