Ciao Nele, ti va di raccontarmi la tua idea? Come è nata pizza da passeggio?
«Certo. Dunque, nel 2014 ero a Brescia per uno stage di cucina. Una sera torno a casa tardi e mi addormento sul divano senza mangiare. A mezzanotte mi sveglio affamato. Esco insieme a un’amica alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Cammino per quasi tre chilometri prima di trovare l’unico posto ancora aperto e con i soldi che ho riesco a comprare una pizza da asporto. Inizio a mangiare e mentre torniamo verso casa la mia amica mi chiede: “Mi dai la mano?”. Volevo ma non potevo. Ed ecco l’intuizione: se avessi avuto un cartone della pizza che si reggeva da solo avrei potuto accontentarla. Da quel momento non ho pensato ad altro».
Come sei riuscito a far partire il progetto?
«Ci sono voluti quasi due anni. All’inizio ho cercato di dare forma alla mia idea, prima con disegni e schizzi, poi realizzando i primi prototipi artigianali. Insieme al mio amico e socio Riccardo, andavo a prendere i cartoni per pizza tra gli scarti di un centro commerciale. Ho fatto varie prove. Poi mi sono rivolto ad un ingegnere brevettuale. Grazie al suo supporto ho realizzato i prototipi in una fabbrica locale e ho ottenuto il brevetto italiano. Adesso stiamo lavorando a quello internazionale. Io e Riccardo abbiamo investito circa 15mila euro, che dovremmo recuperare dalla vendita delle licenze».
Quali sono gli ostacoli per un giovane che vuole innovare in Italia? Che difficoltà hai avuto tu?
«Le difficolta che ho avuto sono state e sono soprattutto di tipo economico. Mi sono rivolto alle banche per avere un prestito, ma senza garanzie nessuno mi ha aiutato. A volte non dormo la notte per pensarci. Non sono ricco e ho investito tutto nella mia invenzione. Ho rinunciato anche ad avere una macchina pur di realizzare il mio sogno».
Raccontami brevemente la tua storia. Parlami di te, se ti va.
«Sono un ragazzo nato in Italia, d’origine bosniaca, e sto facendo tutto ciò per una persona che è tutta la mia vita: mia madre; perché voglio ripagarla di tutti i suoi sacrifici. È arrivata in Italia da sola, incinta, senza conoscere neanche una parola di italiano. Fuggiva dalla guerra. Voleva offrirmi una vita migliore. Mio padre è morto durante il conflitto. E lei si è sempre sacrificata per i figli. È arrivato il momento che sia io a fare qualcosa per lei. Voglio farla sentire una regina. Sin da piccolo mi ponevo qualche domanda sulla società d’oggi: “vivrò per lavorare o lavorerò per vivere?”, ho sempre pensato che sicuramente esiste un modo legale di fare i soldi, io sono un ragazzo abbastanza creativo e ho sempre sognato di diventare un inventore. Ho tante idee. Sono anche appassionato di cucina, ma lavorare 12 ore al giorno nei ristoranti è davvero pesante. Preferirei lavorare per me stesso e mi sto impegnando per riuscirci. Il segreto è crederci, andare avanti, crearsi dei contatti. Ma solo se ci credi puoi davvero arrivare al sogno, ed io ci credo al 110%».
Cosa pensi delle sfide di oggi del nostro Paese e dell’Europa? Dell’immigrazione ad esempio.
«L’argomento del immigrazione è un argomento molto delicato, tuttavia io non ho nulla in contrario al flusso di immigrazione verso l’Italia. Rispetto chi rispetta i valori su cui è fondata l’Italia e chi desidera integrarsi, assumendosi i diritti e i doveri che comporta abitare in un nuovo paese. Mi sembra paradossale che se ne discuta, e inquietante che qualcuno tiri fuori argomentazioni contro l’immigrazione. Non vedo nulla di sorprendente nel riconoscere agli immigrati il diritto di vivere, lavorare, mandare i propri figli a scuola, conservare la loro cultura e le proprie tradizioni (nei limiti del ragionevole). Ogni affermazione contraria non è solo scorretta in senso politico, ma rischia anche di essere indifendibile secondo la logica e la morale».
Ad esempio?
«Parlare di “tolleranza” è orribile, ed è ugualmente terrificante sentire qualcuno blaterare di “integrazione”. Non ci servono né l’una né l’altra. Il rumeno l’albanese, il maghrebino, rimangono tali, ed è nostro dovere far sì che possano continuare ad essere fieri della loro nazionalità ed ammirare la nostra Nazione per le possibilità che può e deve offrire loro».
Cosa pensi dei giovani di oggi?
«Penso che noi giovani di oggi dobbiamo imparare ad essere arbitri del nostro destino, nel bene e nel male. Mi sembra proprio questa la pecca essenziale della mia generazione. Non generalizziamo, perché sarebbe banale, ma credo che noi giovani lasciamo scorrere troppo velocemente la nostra esistenza nella ricerca del “facile, comodo e subito”. È un discorso troppo lungo e serio, ma la riflessione è dovuta ed è interessante, specialmente alla luce delle ultime e gravi vicende di cronaca che fanno capire come la nostra società non sappia più affrontare le vere richieste pressanti provenienti dal mondo giovanile. E i genitori che fanno? Troppo presi dalle necessità quotidiane, dai problemi economici o dalla voglia di apparire e non di essere».
Come ti vedi tu fra 10 anni? Che progetti hai?
«Di progetti per la testa ne ho tanti, addirittura ho riempito un quaderno pieno di progetti che vorrei realizzare, ma il problema è strettamente economico. Per ora mi impegnerò al massimo per cercare di ricavare denaro dal mio progetto attuale per poi cimentarmi in tanti altri progetti».
Il prossimo?
«Un brevetto che riguarda la pesca».
Calogero Aquila