In Sicilia un’antica tradizione natalizia, presente in alcuni comuni del palermitano, celebra la Strina o Vecchia, un personaggio particolarmente simile a quello della Befana e legato all’antica tradizione delle strenne romane. La STRINA deriverebbe dalla divinità romana Strenia, Strenna o Strenua. Era un’antichissima Dea italica adottata come divinità minore del panteon. In suo nome si scambiavano doni augurali durante i Saturnalia (feste da 17 al 23 dicembre, dedicate al dio Saturno- Natalis Solis Invicti). Secondo alcuni deriverebbe dal latino strēna, vocabolo di probabile origine sabina, con il significato di “regalo di buon augurio”.
La tradizione siciliana parla della figura di una Vecchia, chiamata anche Strina, che la notte del 24 dicembre o la notte del 31, dipenda dai paesi siciliani, porta i doni a quei bambini che sono stati buoni tutto l’anno. Che sia la Vecchia di Natali a Ciminna (PA), la Vecchia ad Alimena (PA), la Vecchia Strina a Cefalù e Vicari (PA) o la Carcavecchia a Corleone (PA), si tratta della figura di una donna anziana che ben s’innesta nell’uso antichissimo dell’isola delle strenne, in questo caso rappresentata da una vecchia signora, sdentata che però vuole bene ai ragazzi, portando loro i regali. I giorni sacri a queste strenne sono due: il 24 dicembre e il 1 gennaio. Dallo storico Giuseppe Pitrè apprendiamo che la sera della festa si aggirava per le strade del paese la Vecchia di Natale o Strina, una donna anziana che porta regali ai bimbi che si sono comportati bene tutto l’anno. Essa è nascosta per preparare dolci e regali. Venuta la sera che precede la festa, i bimbi sono mandati a letto presto, perché deve passare la vecchia di Natale per lasciare i dolci, e poiché essa non vuole farsi vedere, passa avanti se li trova svegli. In quella notte essa cammina per le strade suonando una tromba e tirandosi dietro una retina di muli carichi di dolci e giocattoli per distribuirli nelle case ove sono bambini. Entra a porte chiuse, perché le basta una piccola fessura per introdursi e prima di far giorno ritorna nella sua abitazione, che naturalmente si trova in luoghi solitari. La mattina seguente i bambini trovano negli angoli più reconditi della casa dolci, giocattoli e doni di ogni specie, che i genitori, secondo la loro condizione economica, hanno avuto cura di preparare ai loro figlioletti. In alcuni paesi si crede che la Vecchia, passando per le vie, si muti in formica per entrare nelle case dei bambini cui lasciare i propri doni all’interno di scarpe o altri arnesi apparecchiati dai ragazzi. Spesso sbuca da luoghi sperduti o selvaggi, quali rupi, castelli e grotte, vestita “di notte”, ovvero con mante o cappe dai colori scuri, che rappresentano la morte. Questa figura ha uno stretto legame con quello della processione dei morti che lascia doni, difatti, allo stesso modo della Vecchia Strina, nella notte tra il 1 e il 2 novembre.
La figura della STRINA è connessa a tradizioni agrarie pagane relative all’anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo. Anticamente i Romani credevano che, nella notti dopo il solstizio invernale, figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i raccolti. Il mondo contadino fece propria questa credenza, trasformandola nella figura della vecchia STRINA simboleggiando così l’anno vecchio che ormai sta andando via. Inoltre è legata anche nella toponomastica alle note strenne dell’antica tradizione Romana, è dunque anche sinonimo di rinascita, di procreazione e di abbondanza; donatrice di vita tramite l’elargizione di beni profumati, ricchi e gustosi come i dolciumi, la sua figura di “madre” è ben rappresentata anche dai suoi numerosi “figli”, che la reclamano a gran voce con la loro attività di questuanti.
Rita Bevilacqua