Le Troiane sono di scena a Enna e a Caltanissetta

Le Troiane sono di scena a Enna e a Caltanissetta

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Il Mito indagato da un punto di vista tutto femminile, perché ancora una volta sono le donne ad essere al centro del nuovo lavoro di Matteo Tarasco,  primo e unico regista italiano ad essere nominato Membro del Lincoln Center Theatre Directors Lab di New York City e insignito, una decina di anni fa, dal Presidente della Repubblica Italiana del premio Personalità Europea per il Teatro come migliore regista emergente.

Il regista veneto debutta in prima nazionale con “Troiane” giovedì 2 febbraio alle ore 20.30  al Teatro Garibaldi di Enna per la stagione firmata da Mario Incudine e realizzata grazie alla sinergia tra il Comune e l’Università e replica domenica 5 febbraio alle ore 20.30 al Teatro Regina Margherita di Caltanissetta per la stagione firmata da Moni Ovadia e realizzata dal Comune grazie al supporto di Crodino e Caltaqua.

Lo spettacolo, tratto da Euripide, Seneca e Sartre, e di cui lo stesso Tarasco firma la drammaturgia, è nato proprio al centro della Sicilia – a partire dalla produzione della KLab di Enna – e vede in scena un giovane ma qualificato cast tutto siciliano, e tutto al femminile: Doriana La Fauci (guardia), Aurora Cimino (Cassandra), Giuliana Di Stefano (Andromaca), Clara Ingargiola (Demostea), Grazia Lo Brutto (Polissena) e Rita Fuoco Salonia (Ecuba).

Una fulgida oscurità ammanta l’epopea della guerra di Troia: oscure sono le trame della storia, fulgido il mito. La vicenda è assai nota: si narra che una donna, Elena – moglie di Menelao, re di Sparta – sia stata rapita da Paride, figlio di Priamo, re di Troia. Per riportare a casa Elena si scatena una guerra lunga e feroce. Ma è concepibile combattere una guerra per una donna rapita, che in realtà si era lasciata rapire, o meglio, era fuggita con il proprio rapitore? È concepibile radunare un esercito di centomila uomini per assediare una città, che per quanto fosse la città più grande, più ricca, più famosa del mondo, aveva pur sempre un diametro di trecento metri? Ed è concepibile che questa guerra d’assedio duri dieci anni? Uno storico che volesse far luce sul mito potrebbe parlare di un embargo commerciale ai danni delle città greche, della chiusura dello stretto dei Dardanelli da parte delle autorità troiane, di una situazione politico-economica di forte squilibrio, di flussi migratori che attraversano l’Egeo verso oriente, insomma di una delicata congiuntura internazionale. Il lontano passato si rispecchia quindi nel presente, e le parole dello storico, potrebbero essere quelle dell’odierno inviato di guerra.

«Troiane narra le tristi vicende degli sconfitti e la complessa congiuntura di eventi tragici concatenati alla fine della guerra più famosa della storia dell’umanità – scrive Matteo Tarasco nelle note di regia -. Il nostro progetto di messa in scena vuole addentrarsi nel linguaggio del dolore, per riscoprirne un nuovo valore semantico e ridisegnare l’ideologia della virilità, che, nell’epopea, si completa e acquista valore soltanto quando si appropria del modello femminile. Il dolore delle donne fatte prigioniere non ne esautora la forza vitale, ma ne esalta l’energia e l’ardore. Perché in Troiane, lacrime e gloria, sofferenza ed eroismo sono strettamente connessi. Il nostro spettacolo racconta l’assenza dell’eroe, consapevoli che la modernità è orfana di eroi e modelli virili, scegliamo di indagare il punto di vista femminile sul mito.

Mettere in scena Troiane  oggi significa essere appassionati, e folli, significa ricordare che le parole bruciano, che le parole si fanno carne mentre noi parliamo, e quindi anche parlare, anche raccontare una storia, è un gesto fisico e corporale. Oggi sembra che la lingua abbia perduto la sua Physis, la lingua oggi non è più del cuore, come diceva Paracelso, ma della mente, di Nuos. Per questo è necessario fare teatro oggi, ovunque e comunque, per non far soccombere la parola nelle paralizzanti spire dell’ossessione comunicativa, per non stritolare la parola nell’angoscia semantica della comunicazione che molto dice e poco esprime. Fare teatro oggi ci ricorda che il valore della parola si riconosce nel silenzio dell’ascolto».

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