Il 40% delle ragazze tra i 25 e i 29 anni non studia, non lavora e non cerca lavoro (NEET). Per i ragazzi della stessa età la percentuale è al 28%. Questo dato emerge dal rapporto OCSE “Education at a Glance 2018”. Ancora più consistenti i numeri tra Nord al 17% e Sud al 38%.
Numeri e dati che però non possono e non devono essere mal interpretati.
L’inattività infatti non si deve leggere come mancanza di voglia dei giovani ma come mancanza di opportunità (e non solo), soprattutto per le donne.
Da questo deriva – se non tutto sicuramente in gran parte – un’altra perdita che riguarda i giovani laureati che lasciano le regioni del Sud per trasferirsi al Centro, al Nord oppure all’estero in cerca di occupazione. Risorse umane formate con fatica, sacrifici da parte delle famiglie e grandi investimenti economici statali per l’intero ciclo di istruzione dei suoi cittadini (4% del Pil stima Ocse) ai quali però non sono seguite le misure necessarie per raccogliere i loro frutti, perdendo occasioni di sviluppo, innovazione e crescita. A questo seguono disincentivi agli investimenti stranieri con ricadute sul gettito fiscale e sul sistema previdenziale, nonostante il costo del lavoro sia più basso rispetto alle regioni del Nord.
Come offrire quindi queste opportunità? Bisogna costruirle, superando criticità non indifferenti. Mancano prima di tutto le infrastrutture, i collegamenti, i servizi. Mancano corsi e luoghi di formazione, Fab Lab, poli tecnologici per la nascita e la crescita delle startup. Manca tutto. Ci sono solo giovani, i cosiddetti “makers”, pieni di idee, con tanta voglia e capacità di fare che spesso traducono progetti in piccole creazioni, ma si sa, per dare slancio a questa grande ricchezza bisogna superare quelle enormi barriere.
Ci sono – secondo il rapporto Svimez 2018 – degli elementi positivi nell’economia meridionale ma non vi sono sostegni al tessuto produttivo. Servono investimenti pubblici nel Mezzogiorno per recuperare i flussi di spesa pre-crisi che porterebbero vantaggi anche al Centro-Nord grazie all’interdipendenza economica.
Semplificando si potrebbe dire che bisogna “ripartire dal Sud per far crescere l’Italia”.
Quindi non è una partita Sud contro Nord. Non è l’immagine del Sud come “palla al piede” dell’Italia o del grido “Prima il Nord” che lanciava qualcuno vestito di verde prima di rinnegare tutto per la poltrona al Ministero dell’Interno.
Sono dati e numeri: la migrazione dei laureati provoca per il Mezzogiorno una perdita in spesa pubblica investita e non recuperata di circa 2 miliardi l’anno e insieme agli studenti si trasferiscono circa 3 miliardi di euro dal Sud al Centro e al Nord.
E mentre il ministro del Lavoro Luigi Di Maio dice che «non bisogna emigrare», riferendosi alla tragedia dell’incendio a Marcinelle nel 1956, dove tra le vittime c’erano anche 136 italiani, le migrazioni continuano a crescere.
Giovani sempre più istruiti partono alla ricerca di nuove opportunità, non più con le vecchie valigie di cartone dei nonni ma con zaino in spalla, laurea in tasca, libri, smartphone e tanta voglia di farcela. Resta un forte rimorso per ciò che si è lasciato, mentre alla Generazione Y dei nati tra gli anni 80 e il 2000 si aggiunge anche la Generazione Z, che vuole dimostrare a tutti i costi di non essere “Generazione Zero”.
Calogero Aquila