Ormai a Carnevale siamo abituati a vedere adulti e bambini travestirsi con abiti in parte elaborati. Anticamente il costume carnevalesco tipico di Barrafranca (EN) e non solo era il DOMINÒ.
Si trattava di un costume realizzato cucendo diversi lembi di stoffa di vari colori, abbellito con sonagli e completo di mantella e cappucci. I più ricchi lo realizzavano in seta, i più poveri in raso o altra stoffa. Fu in voga a Barrafranca fino agli anni ’60, anche se per i bambini fu utilizzato negli anni ’70. Difficile datare l’origine etimologica del termine. Alcuni studiosi del folklore lo fanno risalire al domino ecclesiastico, che era un cappuccio nero che anticamente era usato in inverno dai preti per portare il viatico. Altri, invece, hanno ipotizzato che il Dominò o Domino derivi da un indumento tipicamente veneziano, utilizzato dai nobili per spostarsi da un palazzo all’altro. Il dominò, che accompagnava la maschera a muso di cane detta bautta, era formato da un ampio mantello con cappuccio, in genere di velluto nero, che era indossato per mantenere l’incognito. Era utilizzato spesso durante il carnevale perché manteneva l’anonimato permettendo così sotterfugi o scherzi anche pesanti. A Venezia questa maschera non prese mai un uso comune, la usavano soprattutto le donne perché consentiva loro di celare ancor meglio la persona. S’ipotizza che il nome di questa maschera derivi da una formula ecclesiastica, Benedicamus Domino (benediciamo il Signore) che era usata, soprattutto nel Medioevo, dai frati ed ecclesiastici, come saluto e deriva dalla similitudine fra il mantello della maschera e i paramenti liturgici dei sacerdoti. Si pensa altresì che il travestimento sia nato per deridere l’abito sacro dei prelati.
Come dicevamo prima, il dominò barrese non era nero ma colorato, composto di una casacca con mantello e pantaloni di diversi colori. Nella forma e nei colori richiama il vestito di Arlecchino, giacca e pantaloni aderenti, tappezzati di triangoli rossi, verdi, gialli, azzurri disposti a losanghe. Anticamente a Barrafranca il dominò era venduto nella bottega del signor Salvatore Centonze, che si trovava al Corso Garibaldi, vicino Piazza Itria. Chi non poteva comprarlo, aveva la possibilità di affittarlo presso il negozio di tessuti del commerciante Salvatore Pirrelli sito in via Vittorio Emanuele.
L’utilizzo del dominò è accertato anche in altri paesi siciliani, con variante del colore nero. A Paternò (CT) tra la fine dell’Ottocento e il Novecento, protagonisti delle serate da ballo carnevalesche erano i domino, figure ammantate in neri e ampi mantelli di raso nero, con una mascherina a coprire tutto o in parte il volto, e un cappuccio. Secondo gli studiosi paternesi si tratta di una maschera d’origine veneziana, come la bauta, protagonista di diverse opere liriche. Il nome dominò derivava dal latino dominus, ossia signore, padrone. Anche a Bisacquino (PA) la maschera principale è il “domino”, una tunica scura che copre la persona fino ai piedi e munita di un cappuccio sulla testa che impedisce di riconoscerla. Secondo Vincenzo Giompaolo, autore del libro Carnevale in Sicilia, sulle origini di quest’abbigliamento non esistono documenti certi. Per quanto riguarda il paese di Bisacquino è innegabile la sua matrice islamica, sia per la sua forma identica a quella del “burka” o “caffettano” islamico, sia per le origini arabe di Bisacquino, testimoniate dal nome (“Busekuin” in arabo), dalla conformazione urbanistica del centro storico e dagli usi dialettali, culturali e tradizionali.
(Fonti: Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana; Vincenzo Giompaolo, Carnevale in Sicilia, vol. I, BAGLIERI EDITRICE, 2016; PATERNESI, quindicinale d’informazione locale, allegato de “La Sicilia” gennaio 2006)
Rita Bevilacqua