Fino alla riforma del Calendario Liturgico, il 3 maggio la Chiesa celebrava l’Inventio Crucis (dal latino inventio-onis: scoperta) dal popolo intesa Festa d’u Crucifissu. La commemorazione fa riferimento al ritrovamento della Croce, nel 326, per merito di sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino. La Croce si trovava a Gerusalemme, sotto un tempio dedicato alla dea Venere, e con essa ne erano state sotterrate altre due. Si narra che per sant’Elena fu facile scoprire quale delle tre fosse quella che aveva visto morire Gesù. Ella fece avvicinare una donna ammalata che, accostandosi a una delle croci, guarì immediatamente. Questo è quanto riferiva il “Messale Romano Quotidiano”, prima che la riforma del Calendario Liturgico, seguito al Concilio Ecumenico Vaticano II, accorpasse l’Invenzione della Santa Croce con la festa dell’Esaltazione della Croce del 14 settembre, data in cui la Chiesa ricorda l’Exaltatio Crucis (dal latino exaltatio-onis: elevazione, innalzamento). Tale celebrazione è riferita alla restituzione della Croce da parte del figlio di Cosroe II (il re persiano che l’aveva trafugata nel 614), all’imperatore bizantino Eraclito I che la riportò a Gerusalemme nel 628.
Tra i diversi rituali festivi che testimoniano la permanenza della cerimonialità agraria nelle feste dedicate al SS. Crocifisso, celebrate in Sicilia diffusamente il 3 o la prima domenica di maggio e, in qualche caso, la seconda metà di settembre, è la tradizione di piantare nei campi una croce fatta di canne sulla quale vengono posti dei ramoscelli di ulivo benedetti la Domenica delle Palme. Maggio è per il contadino siciliano un mese decisivo. Scrive l’antropologo Giuseppe Pitrè in “Spettacoli e feste popolari siciliane” (1881): «Le spighe secondo la credenza, per la festa del Signore, sono belle e compiute (cunchiuti)». Da qui il detto: “Si ntra maju ‘un t’attalentu, vinni li voi e accatta lu frumentu” (Se entro maggio non vieni appagato delle fatiche, vendi i buoi e compra il frumento). Come osserva il botanico siciliano Francesco Minà Palumbo (1841-1899), «Nel mese di maggio le spighe son piccoline, se soprabbondano le erbe nocive, se dominano i furiosi ed estenuanti venti meridionali, se mancano le piogge, ogni speranza è perduta, l’agricoltore deluso cambia divisamento, e per nutrir la sua famiglia è costretto di vendere i buoi». (Ignazio E. Buttitta, I morti e il grano. Tempi del lavoro e ritmi della festa). Il grano sta per giungere a maturazione, momento, quindi, cardine per la buona riuscita del raccolto. l folclorista Salvatore Salamone Marino (1847-1916) segnala che, «quando ancora le sementi erano conferite ai contadini dal padrone, dal camperi (campiere – guardia campestre) o dal curatulu (quelli che si prendono cura per parte della campagna del padrone), li simenzi (sementi) devono essere già consegnate un’ora innanzi dì, ossia nel momento che lucifero, la stella precorritrice dell’aurora, splende all’oriente; ed è perciò che questa stella riceve da’ villicci (dai contadini) il nome di stidda di li simenzi (stella delle sementi)». Inoltre afferma che, ai suoi tempi, la pratica di far benedire una parte simbolica delle sementi e la permanenza dell’uso di “segnar con una croce il grano innanzi di cavarne il primo tòmolo, ripetendo intanto le parole consuete: ‘Nomine Patri e di lu Figghiu e di lu Spiritu Santu! (Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!), era già desunta.
Sempre il Pitrè scrive che: «In Nicosia sopra ogni bùrgiu (covone) si pone una croce di canna; in Alimena al primo o all’ultimo mazzu (mazzo) o timugna di gregni (catasta o accumulo di grano) si colloca un’immagine della santa protettrice del comune, Maria Maddalena, (in Gianciana, una figurina di S. Vincenzo Ferreri; in Casteltermini, dell’Assunta ecc.) perchè protegga la raccolta da’ fulmini, dagl’incendi e da qualunque accidente.» Per proteggere il raccolto, i contadini piantavano nei campi una croce fatta di canne sulla quale vengono posti dei ramoscelli di ulivo benedetti la Domenica delle Palme Lo scopo era quello di proteggere le colture dai temporali e dalla grandine. La Croce diventa così simbolo della Vita, di quell’Axis Mundi di cui parla lo storico della religioni Mircea Eliade. La Croce o Albero della Vita indica quell’asse dell’universo che, per la sua posizione in verticale, congiunge CIELO TERRA e INFERI: simbolicamente l’asse permette il passaggio dalla morte, rappresentata dalla base dell’asse, alla vita, rappresentata dalla sua sommità. Eliade continua affermando che l’Albero-Croce, in quanto riproduzione del tempo e dello spazio, esprime simbolicamente l’essere del cosmo e la sua capacità di rigenerarsi all’infinito. Di conseguenza la Croce realizzata con elementi naturali come le canne diventa elemento riconducibile ai rituali primaverili e ai culti di propiziazione agraria.
Secondo le testimonianze proposte dal Pitrè, oltre che dal trasporto processionale del Crocifisso, i giorni di festa sono caratterizzati: dalla distribuzione e dal lancio di abbondanza della produzione agraria; dall’addobbo del simulacro o fercolo con alimenti ed elementi vegetali tra cui spighe di grano e fave; e ancora da processioni di torce, dalla presenza dei ceti, di cavalcate, di benedizioni dei campi. Tutti questi tratti, per quanto variamente articolati e più o meno inseriti all’interno dei rituali, sono tutt’oggi presenti nelle attuali cerimonie siciliane dedicate al SS. Crocifisso.
(Fonti: Giuseppe Pitrè, Spettacoli e feste popolari siciliane, 1881; Ignazio E. Buttitta, I morti e il grano. Tempi del lavoro e ritmi della festa, 2006; Mircea Eliade, Trattato delle religioni, a cura di Pietro Angelini, Boringhieri, 1976)
Rita Bevilacqua