Tante le tradizioni popolari o meglio le superstizioni che la cultura popolare porta avanti da secoli. Tra queste ancora resiste quella che vuole che in tavola il PANE NON VA MAI CAPOVOLTO. Guai a farlo perché è sintomo di sventura. Questa superstizione può avere due spiegazioni: una religiosa e una storica.
Il pane è da sempre considerando un cibo sacro, la primordiale forma di nutrimento, immancabile nell’alimentazione umana. Il pane era l’alimento cardine dell’alimentazione di tutta la famiglia, principale elemento di sostentamento, prodotto dalla trasformazione del grano e reso unico dalle mani dell’uomo. All’interno del nucleo famigliare, il pane assumeva un ruolo sacro, perché era garanzia di vita. I gesti che precedono e accompagnano il suo consumo sono ritualizzati e seguono una precisa. Il procedimento di trasformazione del grano in farina era un’attività femminile, come anche la successiva trasformazione della farina in pane. I compiti iniziarono a delinearsi: all’uomo compete la coltivazione della terra con lo scopo di raccogliere il grano, alla donna invece tocca il compito di trasformare “quei chicchi gialli come l’oro” in farina e poi in pane. La sua realizzazione e il suo consumo sono quindi oggetto di precisi rituali e di preghiere che scaturiscono in detti e proverbi.
Per la Chiesa esso rappresenta il Corpo di Cristo, che simboleggia l’unità della Chiesa. Capovolgere il pane, significherebbe capovolgere Cristo, non accogliendolo così in tavola. Inoltre nelle credenze religiose mettere sottosopra alcuni simboli cristiani, come ad esempio la croce capovolta, è portatore di sventure. Come fa notare Giuseppe Pitrè nella sua opera “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano” in Sicilia il pane era considerato “Grazia di Dì”, ossia una grazia dispensata dalla provvidenza divina e per questo era degno di gran rispetto: capovolgerlo significherebbe disprezzare la provvidenza e l’amore di Dio.
Questa superstizione va ricercata in un’antica leggenda che ha come protagonista la Francia di Carlo VII (1403-1461). La leggenda trae spunto dal lavoro dei boia che, a causa della politica troppo dura del sovrano, avevano un gran da fare. Questa professione così particolare fece scatenare l’odio del popolo francese e in particolar modo dei fornai, che decisero di non vendere più loro il pane, che rappresentava l’unica fonte di sostentamento delle classi più povere. Venderlo ai boia significava disprezzare quell’ alimento sacro. Per far fronte a questo problema, Carlo VII emanò un editto col quale obbligava i fornai a vendere il pane anche ai boia, pena la decapitazione. Tale imposizione non fu ben accolta tanto che i fornai prepararono il pane destinato ai boia con i peggiori ingredienti. Inoltre per poterlo distinguerlo da quello destinato al popolo, questi pani erano capovolti e serviti loro sempre al contrario, mostrando così il disprezzo provato per il loro lavoro. Inoltre la leggenda vuole che, per ovviare a questo inconveniente, re Carlo VII imponesse ai boia di lavorare con un cappuccio in testa, così che non fossero riconosciuti. Leggende a parte, ci troviamo di fronte a una superstizione che si tramanda nel tempo e che ancora adesso continua a persistere.
Fonti: Giuseppe Pitrè, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. IV, Palermo 1889; Rivista delle tradizioni popolari italiane, diretta da Angelo De Gubernatis, anno I, 1893; www.eroidelgusto.it; www.napolimilionaria.it; Fonti orali.
Rita Bevilacqua