Dal 2004, con la legge 30 marzo n.92, il Parlamento italiano ha istituito il
“Giorno del Ricordo” dei martiri delle foibe e degli esuli istriani, fiumani e dalmati, da celebrare ogni anno il 10 febbraio. Proprio il 10 febbraio 1947 furono firmati a Parigi i trattati di Pace con cui si assegnavano alla
Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, Zara e gran parte della Venezia Giulia. Nel
dopoguerra sugli eccidi delle foibe e sul tragico esodo giuliano-dalmata è
calato il silenzio che si è protratto vergognosamente nei decenni successivi.
Sembra quasi che la famosa leggenda del cane nero abbia avuto un fondo
di verità. Di cosa si tratta? I carnefici spesso gettavano sui cadaveri
ammassati nelle foibe (grandi voragini o caverne verticali tipiche della
regione carsica e dell’Istria) un cane nero perché secondo una leggenda
balcanica con i suoi latrati avrebbe tolto la pace alle anime straziate e su
quelle vicende sarebbe calato per sempre il silenzio. In effetti per circa 60
anni quel silenzio è stata una terribile realtà, ma ben altre, ovviamente,
sono le responsabilità. L’occultamento della verità si deve innanzitutto al
partito comunista: non solo per la sua collocazione internazionale, ma per
le precise responsabilità storiche nella complicità con i comunisti titini per quanto riguarda foibe ed esodo. Togliatti aveva inviato ai partigiani
comunisti del confine nord-orientale precise direttive, sostenendo che
l’occupazione dei territori giuliani da parte iugoslava “è un fatto positivo di cui dobbiamo rallegrarci e che dobbiamo favorire in tutti i modi”. Basti
pensare al trattamento che i comunisti nostrani riservarono agli esuli una
volta arrivati in Italia. Come dimenticare il treno pieno di esuli istriani che il 18 febbraio 1947 fu preso a sassate a Bologna dai comunisti? Ci fu perfino chi versò sui binari il latte destinato ai bambini. L’episodio è passato alla storia come “il treno della vergogna”. Ma la stessa ostilità si verificò a Venezia, ad Ancona, a La Spezia… Gli esuli che fuggivano dagli orrori del comunismo titino venivano accolti in Italia in questo modo dai “compagni” di Tito. Anche questa è una pagina di storia strappata e rimossa di cui il grande pubblico non sa nulla, ma che invece va ricordata soprattutto a chi oggi dà lezioni di moralità in tema di “accoglienza” verso gli stranieri. Quella “accoglienza” che fu negata ai profughi italiani che osavano fuggire dal paradiso terrestre comunista fatto di rastrellamenti, stupri, esecuzioni sommarie, pulizia etnica, foibe e campi di concentramento.
“L’atteggiamento di omertà verso i crimini commessi dagli jugoslavi del Pci è proseguito nell’immediato dopoguerra, ma anche nei decenni successivi. Un indirizzo politico fatto proprio anche da numerosi storici vicini al partito, molti dei quali autori dei testi scolastici in uso nella maggior parte degli istituti scolastici”. (Carla Isabella Elena Cace – Foibe ed Esodo, l’Italia negata, Pagine, Roma 2014). Poi c’è stato il silenzio di Stato, il più vigliacco, perché rimuovere il problema del confine orientale significava evitare un argomento destabilizzante e così le foibe sono diventate una strage negata.
Destabilizzante per la classe politica italiana, fallimentare e incapace di
difendere gli interessi nazionali, costretta a cedere le nostre terre orientali alla Jugoslavia, cedimento sancito dal Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947. Quel 10 febbraio del ’47, in segno di protesta verso la cessione dell’Istria alla Jugoslavia, la maestra Maria Pasquinelli sparò e uccise il generale britannico Robin De Winton, comandante della guarnigione alleata di Pola. A pesare è stato anche il silenzio internazionale. Quando nel 1948 si consumò la rottura tra Tito e Stalin, il regime di Belgrado divenne per le potenze occidentali un interlocutore privilegiato facendo venir meno l’interesse a riconsiderare e far piena luce sui crimini commessi dai comunisti jugoslavi. Tutto questo è durato sostanzialmente fino al 2004, anno in cui finalmente è stato istituito il Giorno del Ricordo. Da allora piano piano, non senza difficoltà e tentativi di minimizzare o giustificare, la verità è venuta alla luce, ma tanto c’è ancora da fare perché questa immane tragedia diventi patrimonio condiviso della coscienza nazionale. Significative, a tale proposito, le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando ha ricordato come “alle difficoltà materiali in Patria si univano spesso, quelle morali: certa propaganda legata al comunismo internazionale dipingeva gli esuli come traditori, come nemici del popolo che rifiutavano l’avvento del regime comunista, come una massa indistinta di fascisti in fuga. Non era così, erano semplicemente italiani”. (S. Mattarella, Dichiarazione rilasciata in occasione del Giorno del Ricordo 2019). Ancora, c’è un nemico insidioso che bisogna combattere ed è “quello dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi” (S. Mattarella, Dichiarazione rilasciata in occasione del Giorno del Ricordo 2020).
In tutte le grandi pagine della storia, forse soprattutto in quelle più tragiche e dolorose, vi sono sempre dei fatti emblematici, cioè particolarmente rappresentativi e non c’è dubbio che nel dramma delle foibe la vicenda di Norma Cossetto assurge a simbolo di tutte le atrocità, del dolore e delle sofferenze che patirono gli italiani dell’Istria e della Venezia – Giulia a causa della matta bestialità dei comunisti titini. I fatti che riguardano Norma Cossetto e la sua famiglia si inquadrano nella prima ondata di massacri della comunità italiana ad opera delle milizie slave subito dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943. In questa prima fase della mattanza gli storici concordano che le vittime furono circa un migliaio. Poi seguirà la seconda e più devastante ondata del 1945 dove le vittime saranno migliaia, anche se il numero esatto non lo sapremo mai. La stima più prudente parla di un minimo di diecimila vittime. Dopo la caduta del fascismo seguita al 25 luglio 1943, viene annunciato l’otto settembre l’armistizio. L’esercito si sfalda e viene meno il controllo del territorio. In questa situazione di caos e di vuoto di potere, prende il sopravvento in Istria l’esercito partigiano di Tito che per un mese circa portò avanti la pulizia etnica contro gli italiani. Se i primi ad essere presi di mira furono i rappresentanti del caduto regime, le violenze riguardarono tutti: insegnanti, preti, impiegati pubblici, donne,
bastava essere italiani. Tra le famiglie più in vista e più legate al fascismo
c’erano proprio i Cossetto. Il padre di Norma, Giuseppe, era un proprietario terriero e ricoprì il ruolo di podestà di Visinada (Norma era nata il 17 maggio 1920 nella frazione di Santa Domenica), nonché segretario del Fascio locale e commissario governativo delle Casse Rurali. Norma consegue la maturità classica a Gorizia, poi nel 1939 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Padova. Tutti la ricordano come una ragazza allegra, sportiva e fervente patriota, iscritta ai GUF (Gruppi Universitari Fascisti).
L’amore per la sua terra l’aveva spinta a preparare la Tesi di laurea dal titolo “L’Istria Rossa”, dal tipico colore della terra rossa per la bauxite. Come abbiamo visto, l’otto settembre del ’43 cambia tutto. Il 25 settembre un gruppo di partigiani irrompe in casa Cossetto in cerca del padre, razziando ogni cosa. Ma Giuseppe Cossetto non lo trovano perché era stato trasferito presso il Comando della Milizia a Trieste (verrà ucciso pochi giorni dopo la morte della figlia). L’indomani, 26 settembre, i partigiani vanno a prelevare Norma. Ed ha inizio il suo Calvario. Prima viene portata nell’ex caserma dei carabinieri di Visignano dove i capi banda le chiedono di unirsi a loro.
Norma oppone un netto rifiuto. Quel deciso NO che segna la sua condanna a morte, non è soltanto un no a tradire il fascismo e la sua famiglia; è soprattutto un no a tradire l’italianità dell’Istria. Ecco perché Norma è una Martire, nel senso preciso di “testimone”, perché con il suo sacrificio ha testimoniato la sua fede, le sue idee e la sua appartenenza. In seguito viene trasferita presso la scuola di Antignana adibita a carcere dove viene legata ad un tavolo e sottoposta dai suoi aguzzini a sevizie e ripetuti stupri, finchè non viene infoibata a Villa Surani insieme ad altri prigionieri. Prima di essere scaraventata viva nella foiba, i suoi carnefici infieriscono ancora in modo indicibile (nel senso che fa troppo dolore dirlo) su quel corpo già martoriato. A inizio ottobre del ’43 i tedeschi scatenano un’offensiva che costringe i partigiani a ritirarsi dall’Istria. Catturano un gruppo di partigiani e da loro si apprende la verità sulla fine di Norma Cossetto. Il 10 dicembre ’43 i Vigili del Fuoco di Pola recuperarono il corpo dalla foiba. Secondo la testimonianza del maresciallo Harzarich, ribadita anche dalla sorella Licia, il corpo di Norma era rimasto intatto. La salma fu composta nella cappella
mortuaria del cimitero di Santa Domenica di Visinada. Sedici degli aguzzini di Norma (sul numero esatto vi sono versioni discordanti) vennero catturati e condannati a morte. La notte prima dell’esecuzione furono obbligati a vegliare quel corpo che avevano così orribilmente seviziato. Fu una veglia di terrore tanto che tre degli aguzzini impazzirono. Il primo importante riconoscimento pubblico per il sacrificio di Norma si ebbe pochi anni dopo la fine della guerra: nel 1949 il Rettore dell’Università di Padova su proposta unanime del Consiglio della Facoltà di Lettere e Filosofia, conferisce la laurea ad honorem a Norma Cossetto. Nel 2005 il Presidente della Repubblica Ciampi concede alla giovane istriana la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria con la seguente motivazione: “Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio”.
La storia di Norma ha ispirato diverse opere artistiche. Nel 2018 è uscito il
film “Rosso Istria” diretto dal regista Maximiliano Hernando Bruno,
trasmesso in prima serata su Raitre. C’è stato poi il fumetto di Ferrogallico
“Foiba Rossa”, curato da Emanuele Merlino e Beniamino Delvecchio,
distribuito in molte migliaia di copie, anche nelle scuole di Veneto e
Piemonte; senza scordare lo spettacolo teatrale di Simone Cristicchi
“Magazzino 18”. Di recente è stato pubblicato il libro “Norma Cossetto rosa d’Italia”, a cura del Comitato 10 febbraio. In questi anni sono molti i Comuni che hanno dedicato una via o un giardino a Norma Cossetto, a lei che è diventata il simbolo di quella immane tragedia che furono le foibe e l’esodo. Lei che non tradì suo padre, la sua famiglia, la sua gente, la sua terra, la sua Patria. “Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio”. Lo abbiamo scritto e gridato tante volte: la verità non può essere infoibata! Sorridi Norma. Abbiamo vinto. La tua storia, la storia di tutti i fratelli infoibati, torturati e perseguitati per la sola
colpa di essere italiani, è SANGUE E STORIA D’ITALIA.
Salvatore Marotta
Responsabile Cultura MSFT Regione Sicilia
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Banchetto informativo presso il Presidio Territoriale di Assistenza