Che spettacolo vedere quei longilinei e altezzosi filamenti di colore verde o giallo paglierino spiccare da vasi di terracotta finemente lavorati e preparati per ricordare o esorcizzare la vittoria della vita sulla morte. Stiamo parlando du “LAVURIDDU”, cosi chiamati in dialetto siciliano, ossia i germogli di grano o altri legumi che sono preparati dalle donne in occasione di determinate ricorrenze. A livello rituale, u lavuriddu è impiegato in alcune feste stagionali che corrispondo al ciclo di lavorazione del grano, che può essere così tripartito: Festa dei morti/Natale (solstizio d’inverno) in corrispondenza della semina del grano; San Giuseppe/Settimana Santa (equinozio di primavera) in corrispondenza della germinazione del grano; San Giovanni Battista/San Calogero (solstizio d’estate) in corrispondenza della raccolta del grano.
Come attestato dall’antropologo palermitano Giuseppe Pitrè, u lavuriddu è realizzato seminando in terraglie (piatti o ciotole) i semi di grano, di ceci o di altri legumi, sopra uno strato di stoppa o canapa (adesso si usa il cotone), mantenuto bagnato per far si che germogli e riposto al buio perché cresca di un bel colore giallo paglierino, evitando che la fotosintesi clorofilliana lo faccia diventare verde. Anche in questi piccoli accorgimenti, si nota il simbolismo che pervade l’intera preparazione: i semi sono simbolo di nascita, il buio delle tenebre della morte e il germogliare simbolo della vita che rinasce dal seme. In realtà, anticamente, le donne lo preparavano senza rendersi conto di tanto simbolismo, ma eseguivano un processo che si tramandava da padre in figlio. Questa simbologia affonda le sue radici nel periodo romano del mito del dio Adone, anche se era già «venerato dalle popolazioni semitiche della Siria e della Babilonia e dai Greci fin dal VII secolo a.C.» (J. G. Frazer, Il ramo d’oro, cap. XXIX), dove vigeva l’usanza di offrire al dio germogli di grano, “i giardini di Adone”, ossia dei cestini o vasi, pieni di terra, nei quali le donne seminavano frumento, orzo, lattuga e vari tipi di fiori, che poi curavano per otto giorni e allo scadere del tempo, quei recipienti erano portati via con l’effige del morto Adone e gettati in mare. Per questo il “lavuriddu”è conosciuto anche come “giardino di Adone”. I romani riprendono dai greci il culto di Adone, il giovane ragazzo di cui si era innamorata la dea Afrodite che, dopo essere stato ucciso da un cinghiale, ottenne da Zeus, commosso per il dolore della dea, di passare una parte dell’anno tra i vivi, per poi tornare periodicamente nel mondo dei morti. Questo culto, simbolo del risveglio della natura, in Grecia era celebrato il primo giorno di primavera e anche a inizio estate.
I siciliani lo chiamano “lavuriddu”, diminutivo di “lavuru”, termine con cui i contadini siciliani chiamano il campo di grano (lavuriddu rappresenta in piccolo “u lavuri”). Questo termine deriva dal latino “labor laboris” che significa lavoro, fatica, proprio a richiamare la fatica e lo sforzo con cui i contadini preparano il campo di grano.
Ancora adesso questi germogli sono preparati per abbellire l’Altare della Reposizione, in siciliano “Saburcu”, mentre è quasi del tutto scomparsa la tradizione di prepararlo perla festa di san Giovanni Battista (24 giugno). Per tradizione la mattina del 24 giugno i ragazzini, con un piatto di “lavuriddu”, andavano di porta in porta da parenti e amici per farsi tagliare in testa un ciuffo di “lavuriddu” in senso ben augurale. Dopo il ragazzino otteneva in dono pochi spiccioli o un santino. Alcune ragazze, invece, tagliavano alcuni germogli, li intrecciavano, li legavano con nastrini colorati e li regalavano all’amica del cuore, che doveva conservarli, diventando così comari per tutta la vita.
FONTI: Rita Bevilacqua, SETTIMANA SANTA A BARRAFRANCA, Bonfirraro Editore, 2014; “San Giovanni Battista e alcune tradizioni barresi” di Rita Bevilacqua pubblicato il 24 giugno 2019 sul blog- Il mio paese Barrafranca; “Cumpari e sangiuvanni” di Rita Bevilacqua pubblicato nella rivista ARCHEO NISSENA numero unico, Caltanissetta, anno 2015; I germogli. Un viaggio simbolico dall’Iran all’Italia meridionale di Gioele Zisa, pubblicato il 3 giugno 2019 su treccani.it/magazine/atlante/cultura
RITA BEVILACQUA