Svoltasi a Barrafranca la Conferenza “Sviluppo della Cultura della Legalità e rispetto delle persone diversamente abili”

Conferenza "Sviluppo della Cultura della Legalit¢ e rispetto delle persone diversamente abili"

Nella serata di sabato 18 gennaio 2025 presso il salone dell’Associazione Nazionale Carabinieri– sez. di Barrafranca si è svolta un’interessante conferenza dal titolo “Sviluppo della Cultura della Legalità e rispetto delle persone diversamente abili”, organizzata dall’ Associazione Nazionale Carabinieri- sez. Barrafranca, dal Rotary Club Piazza Armerina e patrocinata dal Comune di Barrafranca. Le tematiche trattate sono state: “Cultura della Legalità”, “diritto alla riservatezza”, “diritto all’informazione”, “principio di non colpevolezza” e tanto altro.

Moderatore avv. Massimiliano Caltavuturo

Presenti all’evento il Comandante Provinciale dell’Arma dei Carabinieri Colonnello Alfredo Beveroni; il Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Piazza Armerina Capitano Fabio Armetta, il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Barrafranca Luogotenente Rosario Alessandro; il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Pietraperzia Luogotenente Giuseppe Geraci; il sindaco di Barrafranca avv. Giuseppe Lo Monaco; l’amministrazione comunale e il presidente del consiglio avv. Kevin Cumia, il comandante dei Vigili Urbani di Barrafranca Maria Costa; il Presidente del Rotary Club Piazza Armerina dott. Mauro Silvestri: il presidente del Consiglio Ordini Avvocati di Enna avv. Giuseppe Milano; il Capitano della Polizia Giudiziaria Procura Generale di Caltanissetta Diego Dimora e tante persone attirate dall’importante argomento. Moderatore della serata avv. Massimiliano Caltavuturo.

Relatori e rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri

Ad aprire i lavori è stato il Consigliere presso la 1 Sezione Corte di Cassazione Roma dott. Alessandro Centonze che ha trattato del diritto alla riservatezza e del diritto all’informazione: un equilibrio costituzionale. “Si tratta di un tema estremamente complesso-spiega il dott. Centonze- perché per un verso è ancorato ai principi Costituzionali della libertà di corrispondenza, della libertà di manifestazione del pensiero, del dovere della stampa di informare i cittadini degli avvenimenti che si verificano”. Non si tratta di un equilibrio facile. Se da un lato ci sono gli articoli 15 e 21 della Costituzione Italiana che sanciscono il diritto all’informazione e a manifestare liberamente il proprio pensiero, dall’altro lato lo sviluppo dei nuovi mezzi telematici di comunicazione ha reso necessario nuovi organi di controllo. “In questi anni sono sorti nuovi organi di controllo, superiori a quelli nazionali- continua il Centonze- come la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tutto questo per tutelare la riservatezza dei cittadini. Ne sono esempi gli articoli 7 e 8 del Trattato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e l’articolo 8 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”. Il diritto alla corrispondenza enunciato dall’articolo 15 della Costituzione sancisce anche l’inviolabilità della comunicazione, limitata soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria e il diritto a manifestare il proprio pensiero sancito dall’articolo 21 si integrano con gli articoli 7 ed 8 della Corte Europea che sanciscono il rispetto della vita privata e della vita familiare (articolo 7) e pongono sotto la tutela della legge tutti i diritti umani (articolo 8). Da aggiungere, anche, l’articolo 8 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che garantisce ad ogni persona il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Tutte queste norme servono a tutelare le fasce più deboli, a tutelare i reati che si compiono nella sfera famigliare. Sono proprio in questi ambiti che si ha la maggiore diffusione di notizie che, in realtà, non dovrebbe essere divulgate. Mantenere un equilibrio tra le parti è difficile. È necessario quindi che ci sia un confronto tra le istituzioni e chi esercita il diritto all’informazione su valori inviolabili come riservatezza e diritto all’informazione.

Dott. Alessandro Centonze

A parlare della tutela penale del diritto alla riservatezza della persona nell’era tecnologica, con particolare riferimento al reato “Revenge porn”, è stata la dott.ssa Cinzia Tropea, Giudice penale presso il Tribunale di Reggio Calabria. Il diritto alla riservatezza è ormai un cardine nel processo d’informazione che gli addetti del settore debbono tener presente, soprattutto in questa società che utilizza strumenti informartici di divulgazione. “Il diritto alla riservatezza è divenuto un diritto fondamentale in Italia- spiega la dott.ssa Tropea- grazie ad un percorso giurisprudenziale condotto dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione che ha avuto come norme di guida gli articoli 7 ed 8 della Corte Europea, l’articolo 8 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, oltre agli articoli 14 e 15 della nostra Costituzione. Dall’analisi di queste norme emerge come il diritto alla riservatezza sia un diritto complesso dalle diverse sfaccettature: rispetto della vita privata e famigliare, il rispetto della corrispondenza, il rispetto del domicilio”. L’attenzione della Tropea si è concentrata sulla tutela della vita privata e sul reato di “violazione di domicilio”. Il domicilio è il luogo in cui si estrinseca la libertà della persona all’interno di un nucleo ristretto e personale, luogo in cui l’individuo ha il “diritto di esclusiva” ossia può escludere altri dalle proprie attività. Quando qualcuno invade quel luogo privato senza l’accettazione dell’individuo, allora parliamo di violazione. “La giurisprudenza ha allargato- continua la Tropea- il concetto di dimora in “privata dimora” ossia tutti quei luoghi dove vengono svolte attività non necessariamente domestiche ma private, come attività lavorative, che non sono accessibili a tutti senza il consenso del titolare del luogo. Con l’era tecnologica la violazione di domicilio può avvenire anche senza la presenza fisica, ma attraverso i moderni strumenti tecnologici che consentono le riprese visive e sonore. Per questo il Legislatore introduce la fattispecie di “interferenza illecita nella vita privata” e introduce il reato definito “delitto di indiscrezione” ossia il reato di acquisire indebitamente immagini private di una persona”. Tutte queste considerazioni hanno portato il Legislatore a introdurre il reato del “Revenge porn”, “la vendetta pornografica” introdotto nel nostro ordinamento nel 2019. Si tratta della realizzazione di video o immagini a chiaro contenuto sessuale che vengono immesse nella rete senza il consenso della persona ritratta. In questo modo si punisce chi, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza consenso delle persone rappresentate.

Dott.ssa Cinzia Tropea

A chiudere gli interventi è stato il dott. Antonino Patti, Magistrato della Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Caltanissetta, il quale ha trattato il tema del processo penale mediatico; principio di non colpevolezza e diritti fondamentali dell’individuo. “Mi preme iniziare con una considerazione -esordisce il magistrato Patti- parlando del simbolo della Giustizia: la “bilancia”, la bilancia quella classica con i due piatti. Questa dà l’idea che la Giustizia, pesa, soppesa e soprattutto è un posto dove si bilanciano due istanze contrarie e si deve trovare un equilibrio ottimale tra due istanze che potrebbero essere la riservatezza da un lato e l’interesse all’informazione del cittadino e del giornalista che deve divulgare le notizie dall’altro. Quasi sempre l’approdo dovrebbe essere un equilibrio tra questi due valori costituzionali”. Entrando nel fulcro dell’intervento, il magistrato spiega cosa sia il “processo mediatico” e se questo possa convivere con il processo vero, quello giudiziario. “Per capire meglio l’argomento- continua Patti- porterò come esempio quello del caso Tortora nell’83. Quando fu arrestato, fu portato in una caserma e avvisati i giornalisti. Successivamente fu fatto uscire in manette e tutti ricordiamo quelle immagini. Quello fu un fenomeno di spettacolarizzazione del tutto gratuito che aggredisce la persona. Da allora si è sentito il bisogno di stroncare, legislativamente, questo tipo di fenomeno con una riforma del 99 che aggiunse all’articolo 114 comma 6 del Codice di Procedura Penale il divieto di mostrare nei giornali o nei filmati, persone in manette.” Il relatore continua portando altri esempi di processi mediatici negativi, antecedenti alla riforma del ’99. “Negli anni 80 nacquero i talk show. Questi non miravano ad accertare la verità, ma a catturare l’audience. Il giornalista per quanto onesto e professionale, doveva tener conto che, nel processo mediatico che si svolgeva nel talk show, bisognava tener viva l’attenzione. E come si teneva viva: attraverso l’incertezza. Così si formeranno due correnti: quella innocentista e quella colpevolista”. Questi esempi ci fanno capire come spesso il processo mediatico sia andato quasi di pari passo a quello giuridico e le trasmissioni di questo genere possono portare confusione e inculcare nell’osservatore passivo, che non ha i mezzi critici per analizzare la situazione, un’idea colpevolista o innocentista assolutamente non corretta. Il problema si pone se questo tipo di informazione possa influire sullo svolgimento dei processi, tenuto conto che i processi giuridici hanno una durata allungata nel tempo. Per il relatore la presenza di questi programmi non dovrebbe influire sull’esito dei processi giudiziari, perché sono condotti da magistrati professionisti e da schemi che sono completamente diversi da quelli della televisione. Per cui quando i programmi, le trasmissioni, il giornalismo, sono condotti in maniera serena e professionale, non serve prendersela con i processi mediatici, anche perché non tutti gli esiti di questi processi sono negativi. “Io sono convinto- conclude il relatore Patti- che la libertà di stampa e di informazione sia un valore assoluto. Qualsiasi intervento che voglia delimitare, comprimere, censurare la libera esplicazione del giornalismo, secondo me, porta più guai di quanto ne risolva. Il giornalista deve essere libero, fatto salvo nel rispondere dei reati che commette”.

Dott. Antonino Patti

Al termine il Presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri cav. Vincenzo Pace ha donato agli illustri relatori un cofanetto contenente una “Daga” in metallo. (Foto di Rita Bevilacqua e Filippo Bonura) RITA BEVILACQUA