In occasione della festa di San Giovanni Battista, che ricorre il 24 giugno, porto alla vostra attenzione un mio articolo apparso sul primo numero della rivista “Archeo Nissena”, uscito a Caltanissetta nel novembre 2015, proprio sulla tradizione del comparatico che si svolgeva non solo a Barrafranca, ma in altri paesi siciliani. La rivista è annuale ed ha una tiratura limitata, diretta e curata dal professor Nino Anzelmo, presidente dell’Associazione Archeologica Nissena e stampata dalla Lussografica di Caltanissetta.
“Cumpari e sangiuvanni”: l’antica tradizione del comparatico che a Barrafranca (EN) si faceva il 24 giugno, giorno di san Giovanni Battista.
Il 24 giugno la chiesa festeggia san Giovanni Battista, considera come l’ultimo dei profeti del “Vecchio Testamento” e il primo discepolo di Cristo, perché gli rese testimonianza ancora in vita. Tutto quello che si conosce di lui, è stato tramandato dallo storico ebreo Giuseppe Flavio (37-100 d.C.) e dal Nuovo Testamento. La Festa di San Giovanni coincide con il solstizio d’estate, un rito di passaggio che porta la Terra dal predominio lunare a quello solare nella notte più breve dell’anno. Il rito serviva per esorcizzare o stemperare la paura del cambiamento, per attraversare una notte carica di energie.
A Barrafranca, paesino in provincia di Enna, San Giovanni Battista era festeggiato mediante particolari pratiche popolari che si discostano dalle tradizionali feste in cui si portano, processionalmente, in giro per il paese le statue dei Santi in fercoli dorati. La tradizione barrese del giorno di San Giovanni era quella del “comparatico”: ossia di quel particolare rapporto che si stringe fra due persone che diventano compari o comari. In questo tipo di “comparatico”, si affida la propria amicizia al Santo, da qui il carattere sacro del vincolo che assumono i due compari, vincolo che rimane valido fino alla morte. Perché si decida di diventare compari o comari presupposto essenziale è uno stretto legame d’amicizia e una profonda fiducia. Questa tradizione è conosciuta come “u cumpari e sangiuvanni“.I due giovani che dovevano diventare compari si mettevano uno di fronte all’altro e ripetevano questa particolare formula:
(Entrambi) E cumpari a sangiuvanni
sa cc’avimmu nni spartimmu
e s’avimmu ‘na favuzza
nn’a spartimmu menza l’unu.
(E compare a san Giovanni
ci dividiamo ciò che abbiamo
e se anche abbiamo una sola fava
la dividiamo mezza ciascuno).
Il primo compare: Cumpà, cchi vuliti: risu o ossa?
(Compare cosa volete: il riso o le ossa, ossia la felicità o il dolore?)
L’altro risponde: Ossa!
(Ossa. In riferimento ad un proprio futuro doloroso)
Il primo: E nni jammu nni la fossa!
(E, assieme, andiamo nella fossa, ossia nel dolore)
Il secondo compare: Cumpà, cchi vuliti: risu o ossa?
(Compare cosa volete: il riso o le ossa, ossia la felicità o il dolore?)
L’altro risponde: Risu!
(Riso. In riferimento alla sua felicità)
Il secondo: E nni jammu ‘n Paradisu!
(e, assieme, andiamo in Paradiso).
Cumpari simmu e cumpari ristammu… sputa ‘nterra!
(Adesso siamo compari e compari rimarremo per sempre…-come suggello della promessa- sputa a terra!)
Da quel momento si diventava compari per tutta la vita. Probabilmente si tratta di un rito vigente nelle campagne, con il preciso compito di creare solidarietà sacra e quindi inscindibile in seno alla popolazione contadina. Difatti i due contraenti, con il ripetere contemporaneamente la frase “e s’avimmu ‘na favuzzann’a spartimmu menza l’unu”, sanciscono il loro legame di sussistenza reciproca, di aiuto economico, simboleggiato da della favuzza divisa a metà, da quel nutrimento povero e contadino, (le fave sono state considerate “la carne dei poveri”), che permetteva alla famiglia di sopravvivere. Questo rito creava un legame così forte tanto da dividere quel poco che si possedeva sia nel bene sia nel male, sia nel male. Fino agli anni ’60, vi era una particolare tradizione, più che altro una particolare forma di questua: la mattina del 24 giugno i ragazzini con un piatto di “laviruddu” (lo stesso che si usa nei “sepolcri” per il giovedì santo) in mano, andavano di porta in porta da parenti e amici e si faceva tagliare in testa un ciuffo di lavudiddu in senso ben augurale. Dopo, il ragazzino otteneva in dono pochi spiccioli o un santino.
Retaggi di culti pagani si ritrovano nell’utilizzo du lavuriddu, conosciuti come “giardini di Adone”, con riferimento al mito del dio Adone. U lavuriddu si ottiene seminando, alcune settimane prima, dei chicchi di semi di grano o di ceci, sopra uno strato di stoppa o cotone, ricoperto dello stesso materiale, mantenuto bagnato per far si che germogli e riposto al buio perché cresca di un bel colore giallo paglierino, evitando che la fotosintesi clorofilliana lo faccia diventare verde. Questo culto, simbolo del risveglio della natura, in Grecia era celebrato sia il primo giorno di primavera sia a inizio estate. Da qui il collegamento con la festa di San Giovanni, celebrata a inizio estate. Nella cittadina barrese entrambe le due tradizioni sono scomparse, anche se qualcuno ancora continua realizzare u lavuriddu, solo per il piacere di tramandare una tradizione che trova riscontro nei “sepolcri”del giovedì santo.
Questa tradizione del “Comparatico di san Giovanni” vigeva, fino agli inizi del Novecento, in tanti paesi della Sicilia e l’evento veniva festeggiato con modalità diverse. In qualche caso ma sempre il giorno di San Giovanni, i due con le rispettive famiglie si riunivano a pranzo con scambi di doni, per festeggiare l’evento e da quel giorno divenivano compari per sempre.
A Caccamo (PA) la cerimonia si svolgeva con particolari modalità ed avveniva non solo il 24 Giugno, festa di San Giovanni, ma anche il 29 Giugno, festa di San Pietro. I giovani aspiranti compari, alla presenza delle loro famiglie e degli amici si ritrovavano attorno ad una caldaia, dove venivano sciolti dei pezzi di piombo. Il significato della cerimonia era di legarsi saldamente tra loro e, durante il rito, i due compari cantavano:
– San Giovanni vucca d’oru
quantu e beddu u vostru nomu
Santu Petru vucca d’argentu
siti beddu comu lu ventu.
Anche a Lercara Friddi (PA) la cerimonia del comparatico si svolgeva con la fusione del piombo; difatti il piombo veniva riscaldato in un pentolino e, una volta liquefatto, gettato in un altro pentolino d’acqua fredda dove, solidificandosi, assumeva diverse forme. Dalla forma che il nuovo piombo assumeva, le ragazze credevano di leggere l’occupazione del futuro marito o di sapere se una determinata faccenda avrebbe avuto esito positivo o negativo. Sempre a Lercara il comparato si stringeva anche fra le donne. Erano tante le giovani donne che, per sancire l’unione, si strappavano ciascuna tre capelli. Li mettevano insieme e, mentre alcune li attorcigliavano, altre li appallottolavano o, semplicemente, li tenevano in pugno. I capelli, così raggruppati o venivano brucia, come succedeva in alcuni paesi siciliani, o gettarli in mare o nella stessa acqua dove si era svolto il rito del piombo, mentre una delle comari chiedeva: Cummari finu a unni? (Comare fin dove?). La risposta era: Cummari pi sempri (Comari per sempre).
Il rito del comparatico veniva celebrato anche a Caltanissetta, Mussomeli, Campofranco e Catania e in tanti altri paesi della Sicilia.
Questa tradizione popolare così sentita, così partecipata, oggi non c’è più. Pertanto l’esistenza di questo sentimento dettato dalla reciproca stima, dal reciproco desiderio di volersi bene, di rispettarsi e di aiutarsi nelle avversità per tutta la vita, sancito per la festa di San Giovanni, rimarrà solo nel racconto dei nostri anziani. Oggi solo a Ragusa, ultimo baluardo, dove il Patrono è San Giovanni, il giorno della festa i due giovani, al cospetto del Santo, decidono di essere compari per tutta la vita e pertanto la tradizione continua.
(La foto ritrae una statuetta lignea di San Giovanni Battista, posta nella nicchia del fonte battesimale della chiesa Maria SS. della Stella di Barrafranca)
Rita Bevilacqua