Insegnanti precari: le supplenze a vita sono illegittime

Insegnanti precari: le supplenze a vita sono illegittime

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Finalmente per gli insegnanti e il personale ATA  è venuta la fine dei continui rinnovi del contratto a tempo determinato, per essere usati come tappabuchi e per meri scopi di supplenze; a decretare l’addio al precariato nel comparto scuola è stata la Corte Costituzionale, con una recente sentenza che riprende quanto già espresso dalla Corte di Giustizia Europea due anni fa, ed a cui avevano fatto seguito le contromosse del Governo sul decreto “La Buona Scuola”.

Il presidente Regalbuto asserisce che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la normativa italiana  che disciplina le supplenze del personale docente e del personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario), e che fino ad oggi ha consentito al nostro Governo, in violazione delle norme della Comunità europea, di rinnovare all’infinito i contratti a tempo determinato per posti vacanti e disponibili di docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata), senza che ragioni obiettive lo giustifichino. In pratica, il precario continuava a fare il precario a vita, senza riuscire mai ad ottenere stabilizzazioni del contratto o risarcimenti.

Il Presidente Regalbuto  ribadisce che il primo colpo alla normativa italiana e alla facoltà del Ministero della Giustizia di rinnovare i contratti a tempo determinato nei confronti dei docenti precari, è stato dato nel 2014, dalla famosa sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha dichiarato illegittima la legge  sui contratti a termine nella scuola, laddove stabiliva che la durata massima del rapporto non si applica ai contratti a tempo determinato per le supplenze. Una norma, quest’ultima, che consentiva allo Stato di rinnovare all’infinito, e senza limiti di tempo, i contratti precari nei confronti di insegnanti e personale Ata che svolgono supplenze nel settore pubblico. In base alla precedente normativa, infatti, tali contratti non avevano alcun limite di durata massima: si stabiliva solo che le cattedre e i posti di insegnamento e quelli Ata effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimanevano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, dovevano essere coperti mediante supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo.





Ebbene, conclude il Presidente Regalbuto, secondo i giudici della Corte di Giustizia Europea, scesi in difesa degli insegnanti precari non stabilizzati, la nostra legge non era stata scritta per sopperire a delle effettive esigenze di carattere momentaneo e provvisorio, solo per coprire posti vacanti in attesa di una regolarizzazione del contratto, ma aveva l’intento di privare i lavoratori del comparto scuola di tutte le garanzie che un contratto a tempo indeterminato comporta. Insomma, un modo (illegittimo) di violare i diritti del lavoratore; l’amministrazione agiva in questo modo non per ragioni urgenti e temporanee, ma per far fronte a esigenze di personale permanenti e durevoli costringendola a rinnovare all’infinito i contratti a tempo determinato.

Con la recente sentenza, anche la Corte Costituzionale si è allineata all’indirizzo dei giudici del Lussemburgo, cancellando tutte le residue norme che ancora consentivano l’assunzione di supplenti e personale amministrativo senza l’indicazione di una causale, di ricorso al contratto a tempo determinato. La Consulta rileva, peraltro, che la dichiarazione di illegittimità della norma ha una portata limitata, nel senso che riguarda solo il periodo in cui vigeva l’esenzione dal limite massimo di durata dei contratti a termine; a partire dalla sentenza Mascolo, i profili di illiceità della normativa nazionale rispetto al diritto comunitario sono stati rimossi.

Per concludere l’introduzione della legge sulla “buona scuola”  ha tentato di riparare agli illeciti passati commessi dallo Stato, prevedendo, per i professori, un piano straordinario di assunzioni; mentre per quanto riguarda il personale Ata prevede, in mancanza di analoga procedura di assunzione, il risarcimento del danno.



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