La storia è fatta di uomini che, amando il proprio paese, s’impegnano a rilanciare usi e tradizioni popolari. Questo è il caso della storia del rilancio dell’antica tradizione carnevalesca barrese conosciuta come “I PIGNATUNA”, avvenuta nel 1966 grazie all’interessamento del barrese professor Giuseppe Filippo Centonze.
Andiamo per ordine. I PIGNATUNA, o recita dei dodici mesi dell’anno, sono una manifestazione che a Barrafranca (EN) si rappresenta l’ultima domenica di carnevale. Si tratta di una tradizione sviluppatasi sopratutto nei comuni con propensione agricola, il cui scopo è di festeggiare i dodici mesi dell’anno con la speranza che potessero portare un buon raccolto! Il termine riprende la parola dialettale “pignata” che significa “pentola”, in questo caso contenitore di coccio che, appeso tra una casa e l’altra, è rotto da 12 CAVALIERI che rappresentano i dodici mesi dell’anno e da un RE e da una REGINA che regolano l’allegra combriccola. Vestiti di gran pompa e sopra a dei cavalli, vanno in giro per il paese a recitare le loro parti e dopo a rompere “u pignatuni”, riempito di coriandoli, caramelle e quant’altro. Anticamente tutte le parti anche quella regina erano affidate a uomini adulti, possessori di un cavallo e vestiti con abiti “spagnoleggianti”: infatti, si tratta di una rappresentazione popolare itinerante, di origine iberica (simili tradizioni si ritrovano nei paesi di dominio spagnolo).
Dopo l’uccisione del maresciallo della locale Stazione dei Carabinieri Salvatore Troja e della figlia Amalia avvenuta il 13 febbraio 1956 (lunedì grasso) da un uomo mascherato, si assistette a un arresto dei festeggiamenti. A Barrafranca fu tassativamente vietato di festeggiare il carnevale. Per anni gli sfarzi della manifestazione “I PIGNATUNA” rimasero nel ricordo degli anziani. Il rilancio dell’antica manifestazione, così cara ai barresi, si ebbe come accennato sopra, nel carnevale del 1966, grazie all’interessamento del prof. Centonze.
«All’epoca dei fatti- ci racconta il prof. Centonze- insegnavo in un corso popolare serale presso la scuola Puntaterra (Plesso Europa) di Barrafranca. Vivi ancora i ricordi dell’antica tradizione dei “Carrivali a Cavaddu”, alcuni miei alunni più anziani mi esternarono il loro desiderio di vederla ancora rappresentata». A causa dell’increscioso fatto di sangue successo a Barrafranca durante il Carnevale 1956, ossia l’uccisione del maresciallo Troja, non era così semplice, perché vi era un decreto ministeriale che proibiva al paese di Barrafranca di celebrare le antiche tradizioni carnevalesche. Conscio delle difficoltà non solo organizzative ma soprattutto burocratiche, il prof. Centonze si attivò, in primis, a far togliere quel divieto ministeriale. «Per la fattiva mediazione diplomatica dell’allora onorevole socialista Totò Lauricella, mio amico personale – continua il prof. Centonze- si ottenne la riabilitazione del territorio. Superato questo scoglio, c’era da curare l’organizzazione, trovare i fondi necessari, i costumi, ma soprattutto rintracciare le parti in dialetto barrese che i “cavalieri” dovevano recitare».
Ricordiamo che le parti che i “Cavalieri a cavallo” recitano sono trasmesse oralmente, quindi bisognava raccoglierle e trascriverle. Per prima cosa il prof. Centonze andò da chi era considerato il detentore di queste parti: il barrese Salvatore Bonaffini, conosciuto come “Santu U Bagghi”. «Nessuno a Barrafranca le ricordava per intere- rammenta il professore- così presi un registratore e andammo da “u zi Santu U Bagghiu”, che non ci volle dare nessuna collaborazione. Allora scandagliammo tutti i quartieri del paese, intervistando gli anziani, sia uomini sia donne. Riuscimmo così ad avere pezzi di quelle parti che, vennero da me sbobinate e trascritte in un quaderno. Per la stesura finale, ritornammo da “u zi Santu” che, per l’intervento di un amico comune, si rese poi disponibile a sistemare le parti, che furono definitivamente redatte. Negli anni ’80 diedi una copia di queste parti allo storico barrese Salvatore Licata che le trascrisse nel suo saggio sulla storia di Barrafranca». Il passo successivo fu poi cercare i personaggi (tutti uomini, anche la regina, poiché allora alle donne non era permesso di andare a cavallo) tra i giovani del paese capaci di andare a cavallo. Tutti aderirono con entusiasmo, anche perché alcuni di loro avevano già i cavalli. Infine, finanziati dal prof. Centonze, furono realizzare i vestiti. Tutta l’organizzazione fu curata nei locali del Circolo Culturale Sportivo “Morandi” nella sede di Via Umberto. Quell’anno fu un successo: dopo un decennio Barrafranca ritrovava la sua antica tradizione, la gioia e allegria del carnevale. La manifestazione fu messa in scena soltanto alcuni anni e per un certo periodo scomparve, fino alla ripresa del 1982. (Le foto sono di proprietà del prof. Filippo Centonze).
Rita Bevilacqua