Intervista di Interris.it al magistrato anti-mafia che ha catturato i boss stragisti di Cosa Nostra: “Le misure anti-Covid rendono più complicati trasporti e scambi illeciti, ma attenzione agli appalti”
Ieri, in occasione della Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha evidenziato che “le mafie cambiano le forme, i campi di azione, le strategie criminali:si insinuano nelle attività economiche e creano nuove zone grigie di corruzione e complicità, sono un cancro per la società e un grave impedimento allo sviluppo“. Perciò “occorre vigilanza, e la consapevolezza deve farsi cultura”, avverte il Capo dello Stato. Per analizzare come la criminalità organizzata si adegua all’emergenza sanitaria per continuare il proprio multiforme business criminale e a controllare i territori e i traffici nei quali i clan hanno radicati interessi, Interris.it ha intervistato Alfonso Sabella, simbolo internazionalmente riconosciuto di lotta alla corruzione e al malaffare. È lui il magistrato (alla cui figura è ispirata la serie tv “Il Cacciatore”) che ha catturato, tra decine di altri mafiosi, anche Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella, i boss di Cosa Nostra che hanno sfidato frontalmente lo Statodurante la sanguinosa stagione stragista degli anni Novanta. Poi da amministratore capitolino è stato il primo a combattere i clan del litorale romano con provvedimenti mai realizzati in precedenza come l’abbattimento degli stabilimenti balneari illegalie degli esercizi abusivi controllati a Ostia dalla criminalità organizzata. Credente, laureato in giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Sabella si è formato all’Augustinianum (il collegio universitario fondato da padre Agostino Gemelli, di fianco alla sede centrale dell’ateneo, per studenti particolarmente meritevoli) dal quale sono uscite alcune figure di riferimento del cattolicesimo democratico come l’ex premier Romano Prodi e il presidente del Cnel ed ex ministro, Tiziano Treu.
Dottor Sabella, come incide sulla criminalità organizzata e in termini di ordine pubblico la mobilitazione anti-epidemia?
“La maggior presenza di forze di polizia e posti di blocco sulle strade unita al limitatissimo afflusso di persone nelle vie, soprattutto nelle realtà urbane, ha certamente determinato un mutamento dei sistemi di controllo del territorio da parte delle mafie e ha reso più complicati trasporti e scambi di natura illecita. Per esempio lo stazionamento di vedette e sentinelle nelle zone limitrofe alle piazze di spaccio è più facilmente individuabile, tanto più che queste saranno inevitabilmente chiamate a spiegare le ragioni per cui, invece di starsene a casa, si trovano per strada. È anche vero però che le mafie hanno da sempre mostrato una straordinaria capacità di adattamento ai mutamenti e, per rimanere all’esempio appena fatto, avranno già sostituito i controlli umani delle loro piazze di spaccio con strumenti tecnologici quali videocamere e sensori di presenza”.
Può farci un esempio?
“Per quanto almeno sto constatando nel distretto di Napoli, ma com’era del tutto naturale, si registra un forte calo dei reati predatori in quanto le occasioni per commettere furti e rapine con pochissime persone in giro si sono notevolmente ridotte e la forzata permanenza della gente in casa ostacola ovviamente le attività dei c.d. topi d’appartamento. Purtroppo abbiamo un significativo incremento dei reati di violenza domestica a causa della ininterrotta convivenza tra individui che più facilmente determina l’esplosione di contrasti, prima magari sopiti o comunque controllati. Quello che è praticamente immutato, visto che la domanda rimane costante, è il traffico di stupefacenti e, infatti, nonostante questa sorta di coprifuoco in atto, gli arresti per spaccio sono sostanzialmente gli stessi di prima della pandemia; mi sento anche di ipotizzare che si sia incrementata l’attività dei pusher a domicilio che, ormai, saranno diventati bravissimi ad autocertificare in maniera credibile le ragioni dei loro spostamenti sul territorio”.
Lei da trent’anni combatte in prima linea i clan, un paese blindato e mobilitato contro il coronavirus rischia di avere minori forze e risorse da destinare al contrasto delle mafie?
“È indubbio come gran parte delle nostre forze dell’ordine siano impegnate direttamente a supportare l’azione del governo nella gestione della pandemia e a mantenere alto il livello di sicurezza sanitaria del Paese ma non credo che ciò porterà ad alcun significativo arretramento nel contrasto alle mafie. Se, infatti, da un lato gli investigatori che normalmente si occupano delle indagini di criminalità organizzata non sono impiegati in operazioni di ordine pubblico, dall’altro, ormai la nostra Polizia giudiziaria ha esperienze e capacità tali per poter far fronte anche ad una emergenza straordinaria come questa. E poi i magistrati impegnati nel contrasto alle mafie non si sono certo fermati e continuano a lavorare con la stessa determinazione di prima, magari da casa o con sistemi di collegamento a distanza: sappiamo benissimo che abbassare il livello di guardia in un momento delicato come questo avrebbe conseguenze gravissime per la stessa tenuta democratica del Paese”.
In territori controllati dai boss, anche un’epidemia (con i provvedimenti d’urgenza che richiede e senza i consueti controlli delle procedure d’assegnazione degli appalti) può diventare occasione di guadagno per il crimine organizzato come accaduto per i terremoti?
“Se dovessi rispondere con l’ottimismo della volontà direi che le esperienze passate dovrebbero metterci al riparo da fenomeni del genere ma il pessimismo della ragione mi spinge a pensare l’esatto opposto. Il rischio c’è indubbiamente: ed è alquanto elevato e, soprattutto, non riguarda solo l’attualità. È evidente che anche quando sarà scampato il pericolo, e speriamo che ciò avvenga il prima possibile, il nostro Paese si troverà in un momento di particolare fermento assimilabile a un dopoguerra e, per recuperare il tempo perduto e rilanciare l’economia, lo Stato dovrà intervenire pesantemente sul sistema produttivo e sulle grandi opere investendo consistenti risorse tra cui anche quelle che l’Europa sembra ci abbia messo a disposizione”.
Quali effetti prevede da questa situazione di gravissima allerta pubblica?
“In un contesto del genere, in cui sarà anche naturale accelerare i tempi e, inevitabilmente, abbassare il livello dei normali meccanismi di controllo, si creeranno profonde faglie del sistema in cui mafiosi e corrotti e corruttori, da parassiti quali sono, proveranno certamente a infilarsi per lucrare il più possibile in danno della collettività. Il Paese però non può e non deve fermarsi per la paura delle mafie o della corruzione ma deve andare avanti dimostrando, una volta per tutte, che è possibile gestire rapidamente l’assegnazione di pubbliche commesse e controllarne adeguatamente l’esecuzione rispettando, anche nelle procedure semplificate, i principi di non discriminazione, concorrenza, trasparenza, efficienza, economicità. Ma per far ciò non ci si può affidare al caso o alla fortuna ma occorre, innanzitutto, che l’assegnazione degli appalti e delle forniture venga affidata a persone realmente capaci e oneste senza guardare alle loro parentele o appartenenze politiche; e ce ne sono tante tra i dirigenti di cui il Paese dispone”.
Cosa si può fare per correre ai ripari?
“L’ideale sarebbe concentrare in pochissime stazioni appaltanti la gestione degli investimenti, evitando distribuzioni a pioggia delle risorse economiche e prevedendo un’autonoma, e agile, struttura di controllo in grado di isolare rapidamente eventuali indici di distorsione dell’interesse pubblico senza determinare ritardi e imporre inutili pastoie burocratiche. Purtroppo so già che questo non avverrà a causa di quella erronea interpretazione del concetto di decentramento che molti pensano che debba estendersi fino alla scelta del loro contraente. In parole più chiare: a un sindaco o a un presidente di municipio non dovrebbe interessare chi gli fornisce la cosa o chi gli esegue l’opera che egli ha ritenuto necessaria per l’interesse della sua collettività ma solo che, in tempi rapidi e nei limiti dell’impegno di bilancio che, sempre lui, ha individuato, quella cosa gli venga effettivamente fornita o che quell’opera sia realmente eseguita”.
Un’emergenza sanitaria come può incidere sui traffici illegali dei clan (droga, prostituzione, usura?
“Certamente l’emergenza sanitaria in atto non favorisce la prostituzione e, come ho detto prima, non ha concrete influenze sul narcotraffico. Temo invece che l’inevitabile crisi economica che si sta già determinando e che ha già colpito e colpirà ancora più pesantemente i lavoratori autonomi e quelli precari, possa determinare gravissime carenze di liquidità a molte piccole imprese e spingere sempre più individui verso la soglia di povertà così favorendo esponenzialmente le attività usurarie che, soprattutto in alcune zone del centro-sud, ormai costituiscono una delle principali forme di arricchimento e sopraffazione di cui dispone la criminalità organizzata. Non bisogna arrivare impreparati a quel momento ma occorre che anche il sistema creditizio si renda più flessibile e più attento alle esigenze di questi individui pure rinunciando a una parte del profitto e assumendo su di sé qualche rischio in più. A tal fine auspicherei anche un intervento governativo volto a favorire la concessione di prestiti legali agli appartenenti alle categorie più colpite dalla crisi e, ovviamente, a tassi che definirei di solidarietà”.
com.st. interris