In un documento del secondo secolo la “Didachè” noi cristiani siamo invitati a contemplare il volto dei santi e a nutrirci dei loro insegnamenti. Il Beato Rosario Livatino è forse la più bella figura di laico cristiano impegnato tra le vittime della mafia siciliana, che all’integrità della fede cattolica, ha associata una fedeltà che si è fatta impegno civico e sociale fino al martirio. Padre Piersandro Vanzan, direttore della Civiltà Cattolica ha scritto: “Per Rosario Livatino è sempre stata una questione di fede: in Dio, nel diritto, nella giustizia. Questo giovane magistrato rappresenta un esempio di una profonda compenetrazione tra il proprio credo religioso e le solide convinzioni in tema di diritto e amministrazione della giustizia. Un luminoso esempio sia per i magistrati, che svolgono una professione così importante e pregna di tante implicazioni, sia per ogni credente, chiamato ad adempiere al proprio dovere nel quotidiano”.
Rosario Livatino per affermare gli ideali della giustizia e della legalità ha pagato con il sacrificio della vita il suo impegno di lotta contro le forze violente del male. Cristiano convinto e maturo non voleva essere un eroe ma compiere semplicemente il suo dovere coniugando le ragioni della giustizia con quelle di una e profonda fede cristiana. Impegnato nell’Azione Cattolica, assiduo all’eucaristia domenicale, discepolo del crocifisso”, queste le caratteristiche con le quali monsignor Carmelo Ferraro, arcivescovo di Agrigento sintetizzò nell’omelia delle esequie la figura di Rosario Livatino. Il Cristo crocifisso, condannato innocente morto per la redenzione dell’umanità, presente nell’aula delle udienze era per lui un richiamo alla carità e alla rettitudine.
L’aver avuto sul suo tavolo il Vangelo e il Crocifisso non erano segni di un devozionalissimo bigotto, ma perenne provocazione al suo compito di operatore della giustizia. Rosario Livatino ispirò la sua vita al Vangelo, sentì profondo il fascino di Dio come garante di libertà e di giustizia. Si lasciava guidare dalla Parola di Dio. In prima liceo scrisse in un tema: “La Bibbia è lo scrigno dove è racchiuso il gioiello più prezioso che esista: la Parola di Dio. Un gioiello che non si consuma mai è che non è un futile ornamento, ma un meraviglioso e saggio maestro di vita spirituale e materiale, che in esso si fondono ad indicare all’uomo una via piena di luce a cui si giunge attraverso tante strade secondarie, tanti viottoli nascosti segreti. Leggendola e comprendendola l’uomo ne riceve i migliori consigli perché la sua vita spirituale si svolga serena e senza compromessi e chi ha spirito pacato affronta la vita con coraggio e una abnegazione tali che ogni ostacolo viene eliminato”.
Sulla coerenza fra parola ascoltata e praticata disse: “Non vi sarà chiesto se siete stati credenti ma se siete stati credibili”. Questa frase ce ne richiama una di un martire del secondo secolo S. Ignazio di Antiochia che scrisse: “E’ meglio essere cristiano senza dirlo che dirlo senza esserlo”. Ha nutrito la propria vita con la preghiera, con lo studio dei documenti del Concilio, coniugando fede e cultura, fede e diritto. Per la morte di Paolo VI il papa del Concilio Vaticano II annota: “Addio, papa Paolo VI. Tu ti porti dietro un’altra fetta della mia gioventù”. Ogni mattina, prima di entrare in tribunale, andava a pregare nella vicina chiesa di San Giuseppe. Ma tutto questo nella massima discrezione. Alla messa domenicale andava con i genitori. Lo stesso parroco della chiesa di San Giuseppe ignorava chi fosse “quel giovane profondamente raccolto” che vedeva da anni. Pochi in città sapevano che era un giudice di prima linea e quasi nessuno che era un cristiano militante. Le sue convinzioni di fede sono supportate da una coscienza morale formata e illuminata. La vocazione alla santità ordinaria diventa perenne contestazione alla violenza, alla corruzione alla mafia e rafforza l’impegno per il bene comune.
Non è un caso che nel convegno ecclesiale di Verona dell’ottobre del 2006 che aveva come tema “Testimoni di Gesù Risorto speranza del futuro” la santità della Sicilia fu rappresentata proprio da Rosario Livatino, icona di speranza. Si sapeva che era un magistrato coraggioso e si scopre che era un cristiano serio. Nel vallone accanto alla superstrada, dov’era precipitato agonizzante per sfuggire ai killers, fu trovata accanto a lui la sua agenda di lavoro. Su di essa, nella prima pagina spiccava la sigla “STD”: “Gli inquirenti all’inizio si inquietano e pensano ad un messaggio cifrato per indicare il nome di chi lo perseguitava. In realtà quella sigla, presente già nella sua tesi di laurea in giurisprudenza si trova in tutte le sue agende sta per Sub tutela Dei”. e ricorda – come ha spiegato il professore Giovanni Tranchina, che di Livatino fu docente universitario – “le invocazioni con le quali, in età medievale, si impetrava la divina assistenza nell’adempimento di certi uffici pubblici”.
L’affidamento totale alla volontà di Dio, è attestato da queste tre lettere scritte in rosso che il giudice ragazzino adoperava su ogni suo scritto “S.T.D.” :Sub tutela Dei significa non solo sotto la protezione di Dio, ma anche sotto lo sguardo di Dio. Rosario Livatino poneva sotto lo sguardo di Dio, perché doveva giudicare e sapeva che per giudicare occorre la luce dall’alto. fonte Interris