Il 24 giugno la Chiesa festeggia la natività di san Giovanni Battista. Di solito il giorno scelto per festeggiare i Santi è la data della loro morte, intesa come “nascita celeste”, mentre per il Battista si è scelta la data della presunta nascita. Data che è calcolata in base alle indicazioni date nel Vangelo di Luca, posta tre mesi dopo “l’Annunciazione” e sei mesi prima del “Natale”. E’ l’unico Santo, oltre alla Vergine Maria, del quale si celebra la nascita terrena. L’altra festa in onore del Santo è il 29 agosto, giorno in cui fu decapitato.
La Festa coincide con il solstizio d’estate, un rito di passaggio che porta la Terra dal predominio lunare a quello solare nella notte più breve dell’anno. Il rito serviva per esorcizzare o stemperare la paura del cambiamento, per attraversare una notte carica di energie. A Barrafranca (EN) san Giovanni era festeggiato mediante pratiche popolari, come la tradizione del “comparatico”: ossia il rapporto che si strige fra due persone che diventano compari o comari. In questo tipo di “comparatico”, si affida la propria amicizia al Santo, da qui il carattere sacro del vincolo che assumono i due compari, vincolo che rimane valido fino alla morte. Perché si decida di diventare compari o comari presupposto essenziale è uno stretto legame d’amicizia e una profonda fiducia. Questa tradizione è conosciuta come “u cumbari e sangiuvanni“.
I due giovani che dovevano diventare “compari” si mettevano uno di fronte all’altro e ripetevano questa particolare formula:
(Entrambi) “E cumpari a sangiuvanni
sa cc’avimmu nni spartimmu
e s’avimmu ‘na favuzza
nn’a spartimmu menza l’unu.
(E compare a san Giovanni
ci dividiamo quello che abbiamo
e se anche abbiamo una sola fava
la dividiamo mezza ciascuno.)
Il primo compare: “Cumpà, cchi vuliti: risu o ossa?”
(Compare cosa volete: il riso o le ossa, ossia la felicità o il dolore?)
L’altro risponde: “Ossa!”
(Ossa, in riferimento ad un proprio futuro doloroso)
Il primo: “E nni jammu nni la fossa!”
(e, assieme, andiamo nella fossa, ossia nel dolore)
Il secondo compare: “Cumpà, cchi vuliti: risu o ossa?”
(Compare cosa volete: il riso o le ossa, ossia la felicità o il dolore?)
L’altro risponde: “Risu!”
(Riso, in riferimento alla sua felicità)
Il secondo: “E nni jammu ‘n Paradisu!”
(e, assieme, andiamo in Paradiso).
Cumpari simmu e cumpari ristammu… sputa ‘nterra!
Da quel momento si diventava compari per tutta la vita. Fino agli anni ’60, c’era la tradizione di fare una particolare forma di questua: la mattina del 24 i ragazzini con un piatto di “laviruddu” in mano (come quello che si mette nei “sepolcri” per il giovedì santo), andavano di porta in porta da parenti e amici e si faceva tagliare in testa un ciuffo di “lavudiddu” in senso ben augurale. Dopo, il ragazzino otteneva in dono pochi spiccioli o un santino.
Rita Bevilacqua
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